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La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Il progetto recava « tutela la salute, promuove l’igiene ». Queste ultime parole furono soppresse su proposta dell’on. Caronia, perché il principio doveva considerarsi compreso nelle parole « tutela la salute », le quali « implicano anche la prevenzione delle malattie ». Le parole finali « garantisce cure gratuite agli indigenti » vogliono segnare una direttiva al legislatore per il perfezionamento dell’attuale attrezzatura e organizzazione per l’assistenza profilattica e terapeutica ai bisognosi (libretti per i medicinali, ambulatori gratuiti, rette spedaliere a carico dei comuni, ecc.), pur rimanendo libera l’assistenza privata (ultimo comma, dell’art. 38.

Molto discusso fu il primo periodo del secondo comma, approvato con l’intendimento di vietare esperimenti scientifici sul corpo umano che non siano volontariamente accettati dal paziente (si parlò di inammissibilità delle « cavie umane »); con esclusione tuttavia dei trattamenti sanitari (vaccinazioni, ecc.) che siano resi obbligatori per legge nell’interesse della salute pubblica, sempre che non siano violati i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Una spiegazione della portata di quest’ultima parte dell’articolo fu fornita dal proponente on. Moro nell’adunanza plenaria della Commissione del 28 gennaio 1947. Si volle soprattutto alludere a un’esperienza storica e particolarmente alla sterilizzazione. L’on. Moro aggiunse: « Non si vuole escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie in seguito alle sue condizioni di salute; si vuole soltanto vietare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento del genere. I casi invece di carattere generale da applicarsi a tutti i cittadini devono essere disposti per legge entro quei determinati limiti di rispetto della dignità umana ».

L’articolo in esame, e in primis il secondo comma, è al centro dell’attenzione pubblica in quanto nel 2017 e nel 2021, l’obbligo vaccinale, rispettivamente quello pediatrico e anti-Covid, è ritornato ad essere uno strumento normativo coercitivo con cui lo Stato, al fine di tutelare la salute dell’interesse collettivo, ha costruito un apparato sanzionatorio in caso di inadempienza. Prima di entrare nel merito e di proporre alcune riflessioni importanti è bene fare un breve e sintetico excursus dell’obbligo vaccinale in Italia dal dopo guerra ad oggi, atteso che la recente produzione normativa intervenuta soprattutto nel 2021, è figlia di un sottofondo ideologico che, come la goccia che scava la pietra, è penetrato in ogni strato sociale e nella mente del cittadino fino a trasformarsi in “senso comune”. 

Al momento in cui fu scritta la Costituzione esisteva già una vaccinazione obbligatoria per legge ed altre due vennero create prima del ’78. Infine un’ultima, perfino, successivamente. All’istituzione delle principali vaccinazioni obbligatorie era prevista una sanzione penale a carico dei genitori dei figli minori in applicazione del reato di omessa vaccinazione e concrete e non episodiche possibilità di intervento delle autorità giudiziarie e non, con possibili pesanti conseguenze anche sulla potestà genitoriale. Sussisteva, tra l’altro, dal 1967 l’obbligo dei responsabili delle scuole di verificare l’adempimento dell’obbligo quale presupposto per ammettere alla frequenza scolastica e agli esami il minore.

Su questo corpo interveniva la legislazione del 1978. La legge n. 180 prevedeva che i trattamenti sanitari obbligatori dovessero essere disposti in modo da rispettare i diritti civili e politici, a partire dalla predisposizione di iniziative volta a rendere il trattamento il meno sgradito possibile al soggetto e da acquisirne per quanto possibile un effettivo consenso (art. 1, co. 5). La disposizione era ripresa nell’art. 33, co. 5 della n. 833 del 1978, dettata per l’istituzionalizzazione del sistema sanitario nazionale. Il limite costituzionale del rispetto della dignità umana, pertanto, veniva attuato con notevole larghezza anche se (per l’occasione in cui veniva posto, ovvero per la malattia mentale) non scompariva del tutto la possibilità di trattamenti effettivamente non volontari ed anzi il legislatore non rinunciava negli anni successivi a prevedere una nuova ipotesi di vaccinazione obbligatoria. Un ulteriore momento di evoluzione, e forse di svolta, si ebbe, di lì a poco, con la legge n. 689 del 1981 che depenalizzò il reato di omessa vaccinazione trasformandolo in illecito amministrativo, e tale era la sanzione che si applicava ab initio all’ultima vaccinazione obbligatoria istituita (1991). Ciò coincide con una nuova politica sanitaria e vaccinale con cui, salvo l’eccezione del 1991, vengono previste nuove vaccinazioni con relativi calendari ma in forma non obbligatoria ma “raccomandata”.

La valorizzazione del principio del consenso, il venir meno di un apparato effettivamente coercitivo e sanzionatorio, la coesistenza di vaccinazioni obbligatorie e non obbligatorie, producevano una oggettiva convergenza verso il momento della informazione, della persuasione e della collaborazione con i genitori del minore. La politica vaccinale nazionale era sopravvissuta alle prime regionalizzazioni e alla riforma del titolo V, parte II Cost., del 2001. La Regione Veneto promulgò una Legge regionale (Legge 7/2007) che ha permesso l’attivazione del percorso per la sospensione dell’obbligo vaccinale a partire dai nati della coorte 2008. In linea con questa tendenza fu approvato dal ministero della Salute il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2012-2014 con il quale, per la prima volta, era chiara la volontà del legislatore di superare l’obbligatorietà vaccinale pediatrico attraverso un percorso di formazione degli operatori sanitari e di informazione capillare in favore dei genitori sui benefici della pratica vaccinale. La natura (sostanziale) obbligatoria su tutto il territorio veniva meno, l’illecito amministrativo si riduceva ad una multa di 204 euro non irrogata e riscossa (salvo, con un certo rigore, nella provincia di Bolzano…), e l’intervento del Tribunale per i minorenni, prima tutt’altro che infrequente, diventava del tutto occasionale e più che altro connesse a vicende molto particolari che chiamano in causa l’omessa vaccinazione nell’ambito di ben più complesse vicende di incuria rispetto agli obblighi genitoriali.

Anche se il quadro formale mutava in merito all’obbligo vaccinale, il convincimento che i vaccini siano dei farmaci salva-vita e fondamentali per salvaguardare la salute, continuava a permanere attraverso una comunicazione medica martellante, non solo con il mezzo televisivo, ma anche e soprattutto con precise tecniche di persuasione nei centri vaccinali e negli studi medici. “Non sei obbligato, ma ti senti obbligato”. Ogni piano nazionale di prevenzione vaccinale riportava la seguente introduzione: “La vaccinazione rappresenta uno degli interventi più efficaci e sicuri a disposizione della Sanità Pubblica per la prevenzione primaria delle malattie infettive. Tale pratica comporta benefici non solo per effetto diretto sui soggetti vaccinati, ma anche in modo indiretto, inducendo protezione ai soggetti non vaccinati (herd immunity). I vaccini hanno cambiato la storia della medicina e si sono affermati come strumento fondamentale per la riduzione della mortalità e morbosità, modificando profondamente l’epidemiologia delle malattie infettive.”

Nel 2016, c’è stato un cambio repentino e le istituzioni sanitarie nazionali sono ritornate a paventare l’ipotesi di ripristinare l’obbligo vaccinale pediatrico. Infatti nel 2017 con la legge n. 119 (cosiddetta Lorenzin) da quattro sono diventati 10 i vaccini obbligatori pediatrici e in caso di inosservanza i bambini non possono frequentare la scuola per l’infanzia, oltre ad essere stata prevista per la fascia 0/16 anni l’irrogazione di una sanzione amministrativa. Nel 2021 è stato approvato il decreto-legge n. 44, convertito con la legge 28 maggio 2021, n. 76 per l’obbligo vaccinale del Covid-19 la cui inadempienza comportava la sospensione dall’attività lavorativa unitamente alla mancata percezione di ogni emolumento. 

Alla base di queste scelte politiche dobbiamo ricordare che la motivazione ultima su cui riposano le vaccinazioni, in particolare se obbligatorie, è nella preservazione del bene-salute sia dell’individuo che della collettività attraverso il raggiungimento di soglie di copertura ritenute sufficienti a limitare drasticamente la circolazione degli agenti patogeni e a garantire la cosiddetta immunità di gregge.

Tutto ciò premesso, il ragionamento che si propone vuole andare oltre la questione dell’efficacia e della sicurezza degli stessi vaccini. Sono temi che lascio agli esperti senza conflitti di interesse e alla ricerca scientifica indipendente. Il ragionamento che si propone, si sostanzia in una domanda: un individuo sano che in quel dato momento non costituisce un immediato pericolo per se stesso e per la comunità, può essere obbligato per legge (con le più svariate sanzioni) a ricevere un trattamento sanitario per un rischio ipotetico? Il rischio è quello di contrarre una malattia infettiva, il rischio è quello di poterla contagiare ad altri. In un contesto sanitario in cui sia presente una reale pandemia quale grave pericolo attuale, sicuramente non ci sarebbe bisogno di obbligare i cittadini perché naturalmente ricorrerebbero spontaneamente a quei trattamenti sanitari che possono salvare la loro vita, come per esempio il vaccino. Sulla reale pericolosità della pseudo-pandemia del Covid-19 ho ampiamente discusso e narrato in altri contributi. 

Pertanto, un obbligo sanitario potrebbe essere determinato solo se il singolo rappresenti per se stesso e per la collettività un reale pericolo attuale e grave: mentre un rischio ipotetico e probabilistico non potrebbe mai obbligare nessun cittadino, figuriamoci un bambino! 

Il ricorso a leggi di natura probabilistica deve avvenire a determinate condizioni e cioè che la causalità deve essere accertata secondo un criterio di massima probabilità logica, non basta la sola probabilità statistica. La spiegazione causale deve trovare nel caso concreto argomenti fortissimi che evidenzino come quella sia effettivamente la spiegazione per cui quell’evento si sia determinato o si potrebbe determinare. Quindi, probabilità statistica e probabilità logica devono andare strettamente a braccetto. La probabilità logica deve essere costituita da criteri di razionalità della massima pregnanza e aderenza ai fatti. Con questo non si vuole sostenere che le leggi probabilistiche non spiegano nulla, ma che solo un pericolo reale, attuale e grave può determinare l’applicazione normativa di un obbligo sanitario, mai un rischio ipotetico di mera frequenza statistica. 

Facciamo due esempi:

  1. Il trattamento sanitario obbligatorio a cui un individuo viene sottoposto in modo coercitivo per motivi di salute mentale, quando tali condizioni mentali determinano un reale pericolo per se stesso e la comunità.
  2. L’autorità giudiziaria che si sostituisce ai genitori che per motivi religiosi si rifiutano di prestare il consenso ad un trattamento sanitario necessario ed urgente che possa salvare la vita al proprio figlio. 

La legge e la giurisprudenza, in questi casi, prevedono, giustamente, l’imposizione di un trattamento sanitario proprio per la presenza di un grave pericolo attuale, e non solo ipotetico, che il singolo o la situazione rappresenta. 

“La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”, recita l’ultimo comma dell’art. 32 della Costituzione. Il rispetto della persona umana, la sua autonomia e libertà di scelta anche di non curarsi, impone il dovere della legge di limitare eventuali imposizioni a casi di necessità ed urgenza per i quali, si ripete, il pericolo alla salute individuale e collettiva sia immediato, grave e attuale.

Diversamente le parole di Aldo Moro (Non si vuole escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie in seguito alle sue condizioni di salute; si vuole soltanto vietare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento del genere) rimarrebbero pericolosamente inascoltate. 

Nessun individuo sano, per un mero rischio ipotetico di contrarre e trasmettere una malattia, può ledere o porre in pericolo con il proprio comportamento la salute altrui. Questo è un fatto che, ahimè, oggi non viene considerato nelle attuali “scelte tragiche del diritto” e nelle aule dei tribunali. Non può sussistere in tal senso nessun dovere solidaristico da parte del singolo in favore della comunità, invece sussiste un dovere della comunità di proteggere il singolo dall’arbitrio del potere. In questi decenni, invece, la Corte costituzionale, il legislatore, la comunità scientifica quella “accreditata”, hanno dato vita, nuovamente, all’invenzione giuridica del “sospetto” e della “presunzione di colpevolezza” per cui il cittadino sano e integro nella sua salute che non vuole sottoporsi alla vaccinazione, in assenza di pericoli gravi e attuali, è considerato un pericolo, un malato e destinatario di sanzioni come, per esempio, quella di non poter svolgere attività lavorativa ed essere privo di mezzi di sostentamento. In questo modo un cittadino sano è reo di non essere vaccinato anche se in condizioni di salute integre. Stiamo assistendo ad un lungo periodo (decenni) in cui è sorto un vero e proprio culto sanitario che si camuffa attraverso il vestito della “solidarietà”. Nell’ambito del contemperamento tra le due declinazioni, salute individuale e collettiva, l’imposizione vaccinale ha sempre trovato giustificazione in un non precisato e generico principio di solidarietà che rappresenta “la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente” (sentenza C. Cost. n. 75 del 1992); il diritto alla salute del singolo coesiste con il diritto degli altri e quindi con l’interesse della collettività (sentenze C. Cost. n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).  Questi postulati, privi del presupposto innanzi specificato del pericolo grave e attuale, rappresentano un nuovo credo religioso portato avanti dal braccio secolare dello Stato che segue pedissequamente le indicazioni del clero della santa comunità scientifica accreditata dal privilegio, dal profitto e dall’irrazionalità. 

La Corte costituzionale con le sentenze n. 14-15-16 del febbraio 2023 ha sancito e legittimato tale nuovo culto e potremmo riassumerle con questo passaggio paradigmatico: “…la giurisprudenza costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base dei ricordati criteri) che il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto come si è detto titolo all’indennizzo.” Dinanzi ad un rischio ipotetico e ad una malattia infettiva curabile a bassissima mortalità e letalità e quindi in assenza di un pericolo grave e attuale, ad oggi, con una farmacovigilanza completamente passiva e di fronte alla reticenza dei medici, sono stati registrati in Italia 29 decessi correlabili alla vaccinazione Covid-19. 

Il dovere solidaristico di morire per un “bene” non precisato della comunità, rappresenta la tolleranza nei confronti dell’irrazionalità dello Stato.

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