Il Grande Inquisitore si aggira nelle stanze delle istituzioni come in piazza di Siviglia del XVI secolo.
La somministrazione del vaccino anti-covid presuppone la sottoscrizione del modulo del consenso informato, cioè un’adesione consapevole al trattamento sanitario della vaccinazione.
L’Acquisizione del consenso informato, espressione del diritto personalissimo, di rilevanza costituzionale, all’autodeterminazione terapeutica, è un obbligo contrattuale del medico, funzionale al corretto adempimento della prestazione professionale, pur essendo autonomo da esso (Cass. n. 20806/2009).
Il Consenso informato deve essere personale, esplicito, specifico, libero e spontaneo, attuale e revocabile. Sono tutte caratteristiche fondamentali affinchè il consenso informato sia legittimo e corretto nella sua acquisizione.
Nella sentenza n. 19220 del 2013, la Cassazione Civile Sez. III, ha affermato che: “E’ inammissibile una presunzione al consenso del paziente alla prestazione medica, sul presupposto che il consenso deve essere personale, specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo. Invero, il consenso deve essere pienamente consapevole, ossia deve essere informato, dovendo basarsi su informazioni dettagliate fornite dal medico ed implicando, quindi, la piena conoscenza della natura dell’intervento medico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative. In un tale contesto, è irrilevante la qualità del paziente al fine di stabilire se vi sia stato o meno consenso informato, potendo essa incidere soltanto sulle modalità di informazione, stante che quest’ultima deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado di conoscenze specifiche di cui dispone”.
Il principio del consenso informato è stato tradotto nella legge n. 219 del 2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) che all’art. 1 così recita:
“La presente legge tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.”
La pratica vaccinale, essendo un trattamento sanitario a tutti gli effetti, non deroga in alcun modo al principio del consenso informato. Difatti, senza la sua sottoscrizione nessun medico potrebbe procedere alla relativa somministrazione.
La questione del consenso informato ai fini vaccinali comporta delle riflessioni importanti, di seguito svolte parzialmente, ma che meriterebbe ulteriore approfondimento.
Pur essendo il meccanismo vaccinale anti Sars-Cov-2 in Italia apparentemente basato su di una scelta (che, schematizzando, è, per alcune categorie di lavoratori: vaccinarsi-lavorare-percepire la retribuzione; ovvero non vaccinarsi-non lavorare-non percepire la retribuzione), non esistono tuttavia nell’ordinamento precedenti così severi nella modulazione di sanzioni (limitazioni di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti) per i trasgressori di obblighi vaccinali che siano stati espressamente dichiarati tali. Ai cittadini che vivono esclusivamente del proprio lavoro, essendo privi di altre fonti di reddito e/o significativi risparmi, di fatto, è negato o quantomeno gravemente ostacolato l’esercizio del diritto di non vaccinarsi. In tale contesto normativo, ci si chiede quale funzione possa mai avere il consenso informato nel momento in cui, anche di fronte alla mancanza di informazioni, alla loro parzialità e opacità, il cittadino è privato, sostanzialmente, della libertà di scegliere. Si potrebbe ipotizzare l’illegittimità dell’obbligo vaccinale di fronte all’impossibilità del cittadino di costruirsi un valido convincimento informato al trattamento sanitario proprio per l’assenza, non completezza o contraddittorietà delle informazioni sanitarie? Il paziente che ha dei dubbi sull’efficacia e sulla sicurezza di qualsiasi trattamento sanitario è libero di rifiutarlo. Se questi dubbi riguardano, invece, la vaccinazione, il cittadino è veramente libero di rifiutarla?
E’ pacifico secondo la giurisprudenza e la logica del diritto che le informazioni devono essere complete ed effettive e che è escluso che il rilascio del consenso informato possa presumersi, e ciò persino nel caso in cui il paziente abbia proprie cognizioni qualificate in materia per ragioni professionali, ad esempio sia un paziente-medico (Cass. n. 20984 del 27/11/2012) o un paziente-avvocato (Cass. n. 19220 del 20/08/2013). Questo vale anche per la vaccinazione anti-covid.
Deve, dunque, ritenersi che la dimostrazione di avere fornito al paziente – in maniera adeguata, efficace e completa – le necessarie notizie sulle condizioni di salute, sulla diagnosi, sulla prognosi, sui benefici e sui rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari, sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi (così come espressamente previsto dall’art. 3 della citata legge n. 219 del 2017) potrà ricavarsi, quale valida alternativa ad un documento scritto (naturalmente, completo e correttamente redatto), da prove dichiarative o documentali (quali, ad esempio, registrazione, video o audio) ovvero, in via logica, da ulteriori elementi conoscitivi (ad esempio, il numero delle visite e degli incontri con il sanitario, la durata degli stessi, l’eventuale contributo informativo che possano riferire altre persone che vi abbiano partecipato, quali collaboratori del professionista, parenti o accompagnatori del paziente).
Prima di approfondire ulteriormente la questione del consenso informato rispetto alla vaccinazione anti-covid, è utile, a tal fine, analizzare gli insegnamenti della Corte costituzionale in tema di trattamenti sanitari e di vaccini. Nella fondamentale sentenza n. 307 del 1990 la Corte costituzionale, con riferimento alla vaccinazione antipolIomelitica per i bambini entro il primo anno di vita, ha affermato quanto segue: “…la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacchè è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di questa autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale….un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili. “
Cosi anche le sentenze n. 258 del 1994 e n. 5 del 2018 . Icastico un passaggio che si rinviene nella motivazione della sentenza n. 118 del 1996 della Consulta, ove si legge che “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”
Secondo le reiterate affermazioni del Giudice delle leggi, dunque, è da ritenersi legittima l’imposizione di un trattamento sanitario se lo stesso sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; tale legittimità però viene meno – né potrebbe essere diversamente nell’assetto valoriale stabilito della Costituzione – ove sia prevedibile che il trattamento vada ad incidere negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, a meno che non si tratti di conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, siano da ritenersi tollerabili. Queste considerazioni e principi stabiliti dalla Consulta risulteranno utili nel prosieguo del presente contributo. Aggiungo una mia breve considerazione sulla posizione della Corte Costituzionale sull’obbligo vaccinale. A mio sommesso avviso, senza un reale, attuale pericolo per la salute collettiva ampiamente documentato e dimostrato da studi scientifici indipendenti e privi di conflitti di interesse, non è possibile comprimere in alcun modo qualsiasi libertà personale. La mera presunzione di un rischio alla salute collettiva non dovrebbe mai giustificare l’adozione di misure normative che restringano le libertà costituzionalmente (aggiungerei naturalmente) garantite. Il principio di precauzione (che potrebbe confondere una falsa previsione con la certezza dei fatti) deve sempre cedere il passo alla rigida applicazione dei principi della ragionevolezza e proporzionalità. Pertanto, considero la posizione della Consulta in tema di obbligo vaccinale pericolosamente lacunosa in merito alla mancanza di una rigida cornice che definisca il “pericolo” alla salute collettiva, tale per cui si possano giustificare limitazioni ai diritti e libertà fondamentali. L’art. 32 della Costituzione afferma che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” Ergo, il Parlamento (non il Governo) ha la facoltà di approvare una legge che imponga un determinato trattamento sanitario. I nostri padri costituenti, che avevano incontrato da vicino il mostro del nazi-fascismo, conoscendo la volontà di potenza del “tiranno” e la fragilità dell’individuo nascosto nella massa, hanno chiuso e illuminato l’art. 32 Cost. con il seguente principio: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” Affianco alla parola “persona” hanno aggiunto “umana”, proprio a voler stigmatizzare il valore centrale della natura umana che non può essere circoscritta in un dato statistico, ma avvolta dalla protezione del diritto contro l’arbitrio del potere.
Dopo questa breve digressione, ritorniamo al concetto del consenso informato e alla modalità di raccolta della “campagna vaccinale” in corso nel Paese, così come prevista in linea generale ma anche così come in concreto organizzata e svolta. Possiamo affermare che destano più di qualche perplessità circa la conformità ai consolidati principi di diritto che si sono riferiti. Ciò per le seguenti ragioni.
Il modello in uso per l’acquisizione del consenso contiene l’indicazione che il vaccinando ha letto, che gli è stata illustrata e che ha compreso la nota informativa dell’Agenzia italiana del farmaco (acronimo: A.I.F.A.) del vaccino in questione, che ha riferito al medico patologie, attuali e pregresse, e terapie in corso, che ha avuto la possibilità di porre domande, ottenendo esaurienti risposte che ha compreso, che è stato correttamente informato, comprendendo benefici, rischi, alternative e conseguenze e che è consapevole della necessità di informare il medico curante di eventuali effetti collaterali; ad esso è generalmente allegato un riassunto delle caratteristiche del vaccino risultanti dal foglietto informativo della casa produttrice.
Ebbene, il modulo relativo al consenso informato non appare rispettoso dei principi che si sono in precedenza richiamati in tema di consenso informato: si tratta infatti, con ogni evidenza, di un modulo-standard del tutto generico, identico per qualsiasi vaccinando, senza distinzioni, senza riferimenti alle caratteristiche peculiari della specifica situazione, alle condizioni di salute ed all’età del vaccinando, senza informazioni dettagliate che possano dirsi idonee a fornire la piena e reale conoscenza della natura, della portata ed estensione dell’intervento sanitario, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative: e dall’esame, tramite consultazione dei siti internet istituzionali delle varie Regioni, dei moduli emerge persino la mancanza di spazio sufficiente per eventuali integrazioni grafiche che possano valere a “soggettivizzare” la situazione.
A ben vedere, nemmeno la messa a disposizione dell’utenza di una editio minor del contenuto del foglietto informativo del farmaco è immune da rilievi critici. Infatti, l’onere di informazione, come quello di una corretta, puntuale ed approfondita anamnesi, è inderogabilmente in capo al sanitario: e, come non è sufficiente a far ritenere adempiuto l’obbligo informativo la mera consegna del foglietto informativo, allo stesso modo una raccolta di informazioni sanitarie, che, per le più varie cause, sia stata in ipotesi contingentata nei tempi ed effettuata da parte di personale medico reclutato per l’occasione, ma eventualmente privo di competenze specialistiche idonee e che comunque non conosce, per non averlo mai incontrato prima, il vaccinando né la sua storia sanitaria personale, può, quantomeno, far legittimamente dubitare della necessaria cura prestata nella trasmissione – che deve essere efficace e completa – delle notizie sulle condizioni di salute, sulla diagnosi, sulla prognosi, sui benefici e sui rischi del trattamento sanitario, sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell’eventuale rifiuto o della rinuncia allo stesso (così come espressamente previsto dal citato art. 1, comma 3, della legge n. 219 del 2017).
Ebbene, il cittadino che riceve il modulo del consenso informato è veramente informato sull’efficacia e sui rischi connessi? La risposta non può che essere negativa e tale domanda non può che destare delle perplessità alla luce dei preoccupanti dati sulla quantità e sulla serietà degli effetti avversi, non esclusi quelli gravi e persino letali, che emergono dai periodici rapporti A.I.F.A. sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19 (rapporti che, tramite accesso al sito istituzionale del Ministero della salute, risultano consultabili da chiunque e, dunque, e a maggior ragione, da coloro che concorrono, ai diversi livelli, alla formazione delle leggi, dai responsabili delle strutture sanitarie che organizzano e gestiscono le vaccinazioni e anche dai medici c.d. vaccinatori in prima persona).
Il rapporto più aggiornato, il decimo, relativo ai dati del periodo di un anno compreso tra il 27 dicembre 2020 e il 26 dicembre 2021, pubblicato il 9 febbraio 2022, è agevolmente consultabile in: https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/Rapporto_annuale_su_sicurezza_vaccini%20anti-COVID-19.pdf .
Vi si legge (pp. 20-33), tra l’altro, che nel periodo in considerazione risultano in Italia, alla stregua di vigilanza di tipo passivo, 5.656 segnalazioni di eventi avversi gravi (circa 471 al mese) ritenuti correlabili alla vaccinazione (tra cui reazioni anafilattiche, trombocitopenia, trombosi immuno-mediata, mocardite, pericardite, Sindrome di Guillain-Barré, paralisi di Bell); e che dei 758 decessi segnalati, 22 (cioè quasi due al mese) sono stimati dall’A.I.F.A. correlabili alla vaccinazione in corso nel Paese. Per incidens, destano perplessità e forse meriterebbero ulteriore specificazione le considerazioni (che si rinvengono alle pp. 48 e ss. del richiamato documento dell’A.i.f.a.) sulle vaccinazioni pediatriche nella fascia 5-11 anni, posto che in Italia è stato possibile vaccinare i minori compresi in tale fascia di età solo a partire dalla vigilia di Natale 2021, essendo la relativa autorizzazione intervenuta il 1° dicembre 2021, sicchè il periodo di osservazione (che si chiude, come si è visto, il 26 dicembre 2021) si ridurrebbe a pochissimi giorni: cfr. al riguardo anche https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5452&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto) .
Così ricostruito il quadro di riferimento, ci si può chiedere che 22 decessi in 12 mesi in Italia, che, secondo l’A.I.F.A., sono correlabili ai vaccini costituiscono o meno eventi temporanei, di scarsa entità e, dunque, secondo il riferito insegnamento della Corte costituzionale, “tollerabili” dall’ordinamento?
La risposta non può che essere negativa.
Infatti, anche ove si volesse prescindere totalmente (e non si comprenderebbe perché prescinderne) dalla quantità e dalla qualità delle ulteriori reazioni avverse segnalate e raccolte dall’A.I.F.A., in ogni caso il numero, in sé, degli eventi irreversibili – ben 22 decessi in quasi 12 mesi, quasi 2 al mese in Italia – che sono, per definizione, né di scarsa entità né temporanei (ergo: intollerabili), decessi risultati causalmente correlabili alla vaccinazione è tale da doversi offrire netta risposta negativa, oggi, al quesito circa la liceità di un obbligo di trattamento sanitario/vaccinale.
E’ innegabile che l’ampliamento del periodo di osservazione ha mostrato dati in preoccupante, progressivo aumento sia sotto il profilo della percentuale delle reazioni avverse gravi sospette sia del numero dei decessi segnalati sia – ciò che desta maggiore apprensione – del numero dei morti ritenuti come correlabili alla vaccinazione.
Si tratta di trend, con ogni evidenza, in incontestabile aumento che, se, da un lato, va approfondito dalla scienza, dall’altro avrebbe dovuto condurre la Politica a speciale prudenza. Prudenza che, invece, è mancata, essendosi deciso di prorogare temporalmente e di estendere soggettivamente un obbligo vaccinale di fatto che, se alla data della prima decretazione di urgenza, poteva, in ipotesi, apparire giustificato da argomenti plausibili, fondati sui dati provvisori, invece, alla luce dei dati ufficiali, si manifesta – e rischia di essere diffusamente percepito – come una dispotica, pericolosa, imposizione.
Concludo con delle riflessioni personali.
Al magistrato, al parlamentare, al medico, a tutti quei soggetti che ci hanno condotto sino a qui e che hanno il potere di limitare i nostri diritti e libertà fondamentali, i dati e i fatti non interessano. Mentre scrivo questo contributo diventa chiaro, lettera dopo lettera, parola dopo parola, che le considerazioni ivi contenute sono giornalmente, da ormai due anni, schiacciate sotto lo stivale dell’arbitrio, della disinformazione e della irrazionalità.
I ragionamenti hanno abbandonato il discorso pubblico e la vicenda del coronavirus ci consegna un quadro preciso dello spazio nel quale cresce e si esercita il potere, del modo in cui esso lavora alle spalle degli uomini più integri.
Il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij si aggira nelle stanze del potere da troppo tempo e il silenzio del Cristo urla nelle piazze e nelle coscienze dei pochi.
Per approfondimenti:
– La compatibilità costituzionale dell’obbligo di vaccinazione per determinate categorie di lavoratori. Daniele Cenci; 22 Dicembre 2021. In rivista Penale Diritto e Procedura.
– Profili problematici della “campagna vaccinale anti sars-cov-2”. Daniele Cenci; 16 Febbraio 2022. In rivista Penale Diritto e Procedura.