Le manifestazioni contro il green pass hanno sollevato non solo importanti interrogativi politici, ma anche profonde riflessioni psicologiche riguardanti il comportamento delle masse e dell’individuo dispero in esse. Durante questi eventi, ho notato come molti dei partecipanti sembrassero lottare non tanto contro le misure liberticide pseudosanitarie, quanto con il loro disagio esistenziale. Sembrava che avessero intuito, in un momento di lucidità disperata, l’inganno dietro ai numeri e alle immagini propagandistici. Tuttavia, il loro bisogno reale era di esprimere la propria esistenza minacciata da un senso di smarrimento e vulnerabilità, Le loro grida avevano l’aspetto deformato di un urlo collettivo di dolore e disorientamento.
In questo contesto, le parole di Gustave Le Bon nel suo testo “Psicologia delle folle” risuonano con particolare rilevanza: “La folla è un’entità viva e non possiede né pensieri né volontà”. Ciò significa che, in contesti come quello delle proteste, le persone riunite agiscono spesso più come parte di una massa indistinta piuttosto che come individui pensanti e riflessivi. Le Bon rileva che “la folla ha una vita propria e si comporta come se fosse un individuo”, suggerendo che quando una persona è stata mutilata della propria autonomia, è facile che venga travolta e annebbiata dall’immediato e dall’emozionale piuttosto che essere guidata dal raziocinio, rendendo difficile distinguere tra il proprio sentire e quello di un gruppo.
Queste dinamiche possono essere paragonate a quelle delle manifestazioni a favore della “Palestina libera” e contro Israele, dove la manipolazione delle emozioni da parte della propaganda si traduce in una forza di coesione che spesso trascende la razionalità. Come non può essere altrimenti alla luce della chiara inversione tra aggressore (Hamas) e aggredito (Israele)? Queste manifestazioni, come tutte quelle osservate in vari contesti globali e fasi storiche, mirano a unire le persone attorno a sentimenti di nostalgia, rabbia e paura verso un’entità percepita come “aliena” o “oppressiva”. La frustrazione sociale e il bisogno di rappresentare un’opposizione comune possono trasformarsi in un abbraccio allettante di ideologie che semplificano la realtà, anzi la distorcono.
Le Bon ci avverte che “ogni affermazione della folla porta con sé un primo segnale di forza e di coesione, ma spesso a spese della responsabilità individuale”. Durante le proteste contro il green pass, molti partecipanti, pur avvertendo il peso delle loro sofferenze personali, si sono trovati a confluire in una narrativa collettiva che ha amplificato le loro ansie, rendendo più facile per l’industria culturale gestire la contestazione. La mancanza di responsabilità e di riflessione critica può portare a una vulnerabilità ancora maggiore, contribuendo a una spirale di deliri e fantasie condivise.
Coloro che partecipano a questo tipo di protesta trovano un senso di appartenenza e di legittimazione, ma al costo della loro individualità. Come afferma Le Bon: “I membri della folla si sentono più forti e più audaci, ma in realtà diventano più facilmente manipolabili”.
La sfida, l’eterna sfida, è affrontare il dolore individuale portato all’esasperazione da una società che offre stimoli esteriori per regalarci un’apparente vitalità, affinché un legittimo grido di protesta non si trasformi in un’eco che silenzia la vera essenza del sentirsi umano.