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Le manifestazioni pro-palestinesi, risonanti in tutto il mondo, sollevano una serie di inquietanti interrogativi riguardo al loro contenuto e al messaggio che veicolano. Pur essendo fondamentale esprimere solidarietà nei confronti delle vittime di conflitti, di qualsiasi essere umano che muore a causa della guerra, è inaccettabile che tali manifestazioni si siano incredibilmente allontanate dai fatti, assumendo posizioni che possono, in effetti, difendere e alimentare la malvagità anziché promuovere la pace e la giustizia.


In un contesto in cui la violenza genera violenza, è sconcertante notare come i partecipanti a queste manifestazioni abbiano scelto di glorificare atti di barbarie come quelli del 7 ottobre, anziché condannarli. Questo fenomeno richiama alla mente un analogo atteggiamento che caratterizzava i cittadini che, durante il regime nazista, guardavano altrove mentre atrocità inimmaginabili venivano perpetrate contro gli ebrei. L’irrazionalità di allora, così come oggi, consente l’emergere di una narrativa distorta, che può giustificare l’ingiustizia attraverso un’esaltazione ideologica.


Le manifestazioni dovrebbero fungere da spinta per la pace e il dialogo, piuttosto che diventare una piattaforma per la glorificazione della violenza.


Ciò che è richiesto in questo momento è una riflessione seria e critica su come comunichiamo le nostre posizioni e su quali valori vogliamo realmente sostenere. Non possiamo permettere che il nostro apparente desiderio di giustizia si trasformi in un’accettazione collaborativa della malvagità.

Pertanto, è essenziale riconoscere che, dietro l’apparente perseguimento della giustizia e della pace, può nascondersi un inganno insidioso.

Innumerevoli volte, la retorica e la propaganda sulla giustizia è stata usata per giustificare atti di oppressione, vendetta e divisione. Movimenti che si presentano come campioni di equità e verità possono, in realtà, mascherare intenzioni più oscure. Le parole possono diventare strumento di manipolazione, distorcendo la realtà per servire agende personali o ideologiche sotto la veste di buone intenzioni. Questo è il volto pericoloso dell’inganno: una giustificazione apparente che può celare la malvagità. Un caso esemplare è rappresentato dall’inganno dei “Protocolli dei Savi di Sion” che rappresenta uno dei capitoli più oscuri della storia moderna, una satanica falsificazione che ha alimentato decenni di antisemitismo. Pubblicati all’inizio del XX secolo, questi documenti millantavano di rivelare un complotto segreto degli ebrei per dominare il mondo. Nonostante si trattasse di un manifesto di propaganda privo di qualsiasi fondamento, ha trovato fertile terreno nell’immaginario collettivo, contribuendo a diffondere l’odio e la sfiducia nei confronti della comunità ebraica. Questa manipolazione dell’informazione ha avuto un impatto devastante, giustificando discriminazioni e persecuzioni, e servendo come strumento per incanalare le frustrazioni sociali verso un capro espiatorio.

Questi documenti falsi, pubblicati per promuovere un’ideologia antisemitica, hanno alimentato stereotipi e fantasie di cospirazione che, purtroppo, sono oggi riemersi in una nuova veste consistente nel racconto e nella falsificazione dei fatti dell’attuale guerra in Medio Oriente che presenta Israele come aggressore e Stato oppressivo nei confronti della popolazione della Striscia di Gaza. Israele, al contrario, è sotto attacco sin dalle origini del suo riconoscimento come Stato autonomo dal 1948 e continua tutt’ora ad esserlo. Invano l’invito a rivolgersi alla conoscenza storica, alla ragione, al buon senso: i sostenitori e i manifestanti propal sono oramai persi nel delirio e nell’irrazionalità e nessun ragionamento può far presa rispetto alle loro credenze. Israele, gli ebrei, secondo questi, sono un mostro che commette un genocidio.

Assistiamo nuovamente a manifestazioni, atteggiamenti e comportamenti che evocano questi pregiudizi secolari contro gli ebrei, con individui e gruppi che diffondono il male pensando di stare dalla parte del bene.

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