Oggi più che mai, in un tempo segnato da crisi esistenziali, conflitti e insicurezze globali, è necessario tornare a riflettere sull’essere umano. E in questa riflessione profonda, il concetto di “umanesimo radicale” ci offre una bussola etica e spirituale per orientarci. Esso non è soltanto un’idea filosofica: è una visione dell’uomo come essere capace di sviluppare pienamente le sue potenzialità, di costruire armonia dentro di sé e di contribuire all’equilibrio di un mondo pacifico.
Al centro di questa concezione sta l’idea dell’indipendenza interiore. L’essere umano può emanciparsi davvero solo se raggiunge una piena consapevolezza della realtà e se rifiuta l’uso della forza come strumento di potere. La storia, purtroppo, ci insegna che la forza – intesa come paura e dominio – ha spesso deformato la ragione e i sentimenti dell’uomo, rendendolo incapace di libertà autentica.
L’umanesimo radicale riconosce che l’essere umano è fragile, imperfetto, segnato dalla sofferenza e dal limite. Ma è proprio questa consapevolezza che può trasformarsi in forza. La sofferenza, infatti, non è solo dolore: è anche spinta verso la liberazione. Quando soffriamo, desideriamo liberarci dalla nostra oppressione, fisica o spirituale, e questa tensione verso la libertà è il motore stesso della crescita umana.
In questo cammino, la spiritualità ha un ruolo centrale. Non è un’esperienza separata dalla vita sociale e politica, ma ne è parte integrante. Le grandi tradizioni spirituali del mondo – dal Brahman al Tao, dal Nirvana al Dio biblico – sono tutte espressioni poetiche e simboliche di un unico impulso umano: cercare l’unità tra amore e ragione, tra sé e l’altro, tra individuo e mondo. È un cammino che, come ha indicato Karl Jaspers con la sua teoria dell’età assiale, ha attraversato tutte le culture tra il 1500 e il 500 a.C., dando vita a un patrimonio comune di valori universali.
Ma questo cammino non è privo di ostacoli. L’essere umano, anche quando si libera dai legami primari – dalla madre, dalla terra, dal clan – spesso sostituisce queste dipendenze con altre: la nazione, il successo, il denaro, l’identità narcisistica. Queste false certezze lo paralizzano, lo separano dal mondo, lo rendono incapace di vera libertà. Solo l’attività creativa interiore, l’amore autentico, il rapporto vivo con il mondo permettono all’essere umano di ritrovare l’armonia perduta.
La tradizione biblica ci insegna che l’essere umano non è né buono né cattivo in sé, ma è un essere capace di scegliere. Ha tendenze buone e malvagie, e deve imparare a orientarsi. L’immaginazione – quella facoltà che solo l’uomo possiede – può alimentare la crudeltà o la bontà. E ciò che nutriamo dentro di noi finisce per crescere. Per questo il cuore umano può indurirsi fino a non essere più capace di libertà, o al contrario, può addolcirsi e risvegliarsi alla vita.
Alla base di tutto questo c’è una convinzione fondamentale: ogni essere umano porta in sé tutta l’umanità. Salvare una sola anima, dice la tradizione ebraica, equivale a salvare il mondo intero.
La vita, dunque, va vissuta pienamente, non custodita gelosamente. Non siamo nati per servire la proprietà, ma per far sì che tutte le cose servano la vita. È nel processo storico che possiamo rinascere, che possiamo diventare ciò che siamo potenzialmente, che possiamo perseguire alcuni valori fondamentali: l’affermazione della vita, dell’amore, della giustizia, della libertà e della verità.