Perché, nel corso della storia, proprio l’ebreo è stato così spesso demonizzato? E com’è stato possibile che, nel cuore del XX secolo, l’umanità abbia assistito al più grande sterminio sistematico mai concepito: la Shoah, l’Olocausto perpetrato dal nazismo?
In realtà, l’odio antiebraico affonda le sue radici molto lontano nel tempo. Già nei primi secoli dopo Cristo, tra il I e il II secolo, gli ebrei iniziarono a essere emarginati e accusati, spesso in ambito religioso, di crimini infondati. Da allora, lungo tutto il Medioevo, vennero incolpati di eresia, di avvelenare i pozzi, di causare epidemie, di praticare riti oscuri. Furono ghettizzati, costretti alla conversione, espulsi da numerosi paesi, perseguitati in modo sistematico, furono umiliati, spogliati della loro dignità, esclusi dalla società, perseguitati con un odio di un’intensità disumana — riservato unicamente a loro, soltanto perché erano ebrei.
E questo antisemitismo — religioso prima, razziale poi — non si è mai del tutto fermato. Ha cambiato volto, linguaggio, giustificazioni, ma è sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Come si spiega un fenomeno tanto estremo e duraturo? Da dove nasce questo odio secolare, apparentemente inspiegabile?
Uno dei libri che tenta di spiegare e offrire alcune risposte è quello di Norman Cohn Licenza per un genocidio – I Protocolli degli Anziani di Sion: storia di un falso. Attraverso l’analisi storica e la logica, Cohn smonta uno dei più pericolosi falsi della storia moderna, usato per giustificare pregiudizi, paure e violenze. Le sue riflessioni ci portano a guardare dentro noi stessi: ci mostrano quanto sia fragile l’equilibrio tra civiltà e barbarie, e quanto sia urgente un’educazione etica e responsabile fin dall’infanzia. Perché l’odio, se non contrastato, può germogliare anche nei cuori più insospettabili. E diventare, ancora, malvagità senza confini.
Dopo la Rivoluzione francese, il mito della “congiura mondiale ebraica” prese forma a partire dalla demonologia tradizionale, trasformandosi in una narrazione complottista che avrebbe avuto conseguenze tragiche. Questo mito diede origine a una serie di falsificazioni, culminate nei famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un falso documento che pretendeva di rivelare un piano segreto degli ebrei per dominare il mondo.
I Protocolli furono utilizzati per giustificare massacri di ebrei, come durante la guerra civile russa, e si diffusero rapidamente in Europa e oltre, soprattutto dopo la Prima guerra mondiale. La loro influenza fu devastante: entrarono nelle menti di molti, tra cui Adolf Hitler, diventando parte integrante dell’ideologia dei suoi seguaci più fanatici, sia in Germania che all’estero. In questo modo contribuirono a creare le basi culturali e ideologiche per il parziale sterminio del popolo ebraico durante la Shoah.
Norman Cohn, nel suo libro Licenza per un genocidio, colma una grave lacuna storiografica attraverso un’analisi rigorosa, dettagliata e fondata su solide fonti storiche. Ci mostra come un falso costruito a tavolino abbia potuto avere un impatto tanto profondo sul corso della storia mondiale. Basti pensare che i Protocolli sono, con ogni probabilità, il libro più diffuso al mondo dopo la Bibbia. Eppure, per molti, le circostanze della loro creazione e il loro ruolo nella diffusione dell’odio antiebraico restano ancora sconosciute.
L’antisemitismo è un prodotto della fantasia, non della realtà. Ciò che immagina un antisemita è spesso l’esatto opposto del vero: una costruzione mentale distorta, irrazionale, alimentata da paure e pregiudizi. Ma l’oscuramento della verità, da solo, non basta a spiegare massacri, persecuzioni e violenze brutali. Serve un’ideologia che offra giustificazioni, che dia forma e legittimità a quell’irrazionalità, trasformandola in azione concreta e distruttiva.
Il mito della “congiura mondiale ebraica” ha poco a che vedere con persone reali, eventi storici o conflitti geopolitici concreti. È una costruzione che affonda le sue radici già tra il II e il IV secolo d.C., quando venne utilizzata per “immunizzare” i cristiani dalle influenze della religione ebraica, loro matrice originaria. Nei secoli successivi, in particolare nell’Europa occidentale medievale, questo mito si trasforma in una vera e propria demonologia coerente e terrificante.
A partire dal XII secolo, gli ebrei cominciarono a essere visti non come individui o comunità religiose, ma come una cospirazione di stregoni al servizio di Satana, colpevoli dei crimini più infamanti: rapire e uccidere bambini cristiani, profanare l’ostia, avvelenare i pozzi. Allo stesso tempo, la cultura popolare — attraverso predicazioni e rappresentazioni religiose — diffondeva l’idea che l’Anticristo sarebbe stato un ebreo, e che i suoi seguaci più fedeli sarebbero stati proprio gli ebrei.
Tutti questi miti, anche quando le condizioni storiche che li avevano generati venivano meno, non scomparivano: al contrario, acquisivano vita propria, attraversavano i secoli e i continenti, assumendo nuove forme, ma mantenendo intatta la loro forza distruttiva.
I Protocolli dei Savi Anziani di Sion rappresentano il punto d’incontro tra l’antica demonologia ebraica medievale e le moderne teorie del complotto. Essi non sono solo un falso storico: sono l’impalcatura ideologica che ha reso possibile giustificare massacri, pogrom, stermini. Il male prospera quando la ragione cede il passo all’irrazionalità e alla distorsione della realtà, quando, come sosteneva Adorno nei Minima Moralia, la ragione si allontana dall’evidenza logica come tale.
Anche l’Islam, nella sua storia, ha sviluppato un rapporto con l’ebraismo teso al pregiudizio e all’odio sistematico. Quando Maometto lasciò La Mecca per stabilirsi a Medina nel 622 d.C., cercò inizialmente un dialogo con le comunità ebraiche locali, sottolineando le affinità tra la sua nuova religione e il giudaismo. Tuttavia, il suo messaggio fu respinto dalle tribù ebraiche e questo rifiuto portò a un conflitto violento da parte di Maometto che si concluse con la sconfitta e l’espulsione – e in alcuni casi la strage – di quei gruppi. Da allora, si è creato un progressivo allontanamento tra Islam ed ebraismo. Il Corano e alcune biografie successive del Profeta contengono descrizioni fortemente negative degli ebrei, spesso ritratti come ingannatori, traditori, assetati di potere e capaci di raggirare chi non appartiene alla loro fede. Secondo questa narrazione, gli ebrei avrebbero falsificato le Sacre Scritture, disprezzato il messaggio di Allah e perseguitato i suoi profeti, compreso Gesù e lo stesso Maometto.
Per i musulmani non esiste distinzione tra ebrei, israeliani e sionisti: i termini sono usati in modo intercambiabile. L’antisemitismo islamico non si limita alla reazione rispetto al conflitto israelo-palestinese, ma si basa su pregiudizi molto più antichi, radicati in secoli di stereotipi e sospetti. Non è un caso che in diverse parti del mondo arabo sia stata negata la Shoah, come parte della retorica contro Israele. Né sorprende il fatto che, durante la Seconda guerra mondiale, alcuni leader islamici abbiano simpatizzato o collaborato con la Germania nazista, condividendo l’obiettivo sterminare gli ebrei e di impedire la nascita di uno Stato ebraico. Alcuni miti dell’antisemitismo europeo – come la falsa accusa del sangue, secondo cui gli ebrei userebbero sangue di bambini non ebrei in riti religiosi – sono stati importati nel mondo islamico, dove hanno trovato terreno fertile, alimentando l’odio.
Un esempio recente e tragico di questo antisemitismo ideologico è rappresentato dal massacro del 7 ottobre 2023, quando gruppi organizzati di islamisti hanno compiuto un attacco brutale contro civili inermi israeliani, uccidendoli, rapendoli e torturandoli. Questo atto non può essere interpretato come una rivendicazione territoriale o politica: è stato un attacco mirato contro persone in quanto ebree, alimentato da un odio profondo e sistemico. Solo alla luce dell’antisemitismo si può comprendere la natura e la violenza del pogrom del 7 ottobre.
Attacchi terroristici, violenze e campagne militari contro Israele si inseriscono all’interno di una cornice ideologica che trasforma la violenza in una presunta lotta di liberazione contro un nemico demonizzato. Solo comprendendo questo contesto di odio radicato — alimentato da miti storici e religiosi distorti — è possibile affrontare in modo lucido sia il fenomeno dell’antisemitismo, che attraversa passato, presente e futuro, sia l’attuale conflitto tra mondo islamico e Stato di Israele. Aver invertito l’aggredito (Israele) con l’aggressore (Hamas) è una chiara evidenza di come l’antisemitismo trasforma la realtà in finzione.
Le falsità, le manipolazioni dei fatti e la narrazione unilaterale dei bambini di Gaza uccisi da Israele, per esempio — spesso presentata senza distinguere tra propaganda e realtà — riecheggiano il mito medievale del cosiddetto “omicidio rituale” attribuito agli ebrei. Questo antisemitismo, lungi dall’essere superato, riemerge oggi con la forza di un antico incubo, come l’orco delle fiabe che torna ciclicamente a minacciare la ragione e l’umanità.
Lo vediamo ogni giorno, sui social, nel giornalismo, nei discorsi politici: l’antisemitismo non è stato sconfitto, ha solo cambiato volto, adattandosi ai linguaggi e ai contesti del nostro tempo. Non grida più dagli angoli delle strade, ma s’insinua nelle parole ovattate dell’opinione pubblica, nei silenzi colpevoli, nelle mezze verità che giustificano l’odio.
Un antisemitismo che si camuffa dietro le sembianze di legittime critiche alla politica interna di Israele, ma che in realtà serve a distogliere l’attenzione dal nodo centrale: l’odio profondo e persistente verso gli ebrei e la volontà, espressa dal mondo islamico, di annientarli e cancellarne l’esistenza.
Lo vediamo nell’indifferenza diffusa, in quella complicità passiva che si traveste da neutralità. È un’apatia che pesa quanto una presa di posizione, perché permette al pregiudizio di prosperare indisturbato. L’antisemitismo oggi non è solo negli atti estremi, ma anche — e soprattutto — in quella collaborazione silenziosa di chi guarda, sa, e sceglie di non dire nulla.
Proprio come i minatori un tempo portavano un canarino nelle gallerie per accorgersi in tempo della presenza di gas letali, così l’odio verso gli ebrei è da sempre un segnale precoce del deterioramento morale, sociale e politico di una società. Quando l’antisemitismo riemerge — come accade oggi, persino negli ambienti universitari dove si boicottano le collaborazioni con Israele e si tollerano, o addirittura si applaudono gli stupratori di Hamas — non è un problema che riguarda solo una minoranza. È un campanello d’allarme che riguarda tutti. Ignorarlo significa mettere a rischio le fondamenta stesse della democrazia e della convivenza civile.
Così scriveva Jean-Paul Sartre nel suo importante testo L’Antisemitismo: “[…] l’antisemitismo non è un problema ebraico: è il nostro problema. Poiché noi ne siamo colpevoli e rischiamo di esserne noi stesse vittime, dobbiamo essere ben ciechi per non vedere che questo è un problema nostro, di prima importanza.”