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IN QUALE SOCIETA’ VIVIAMO?

“L’odio e la frustrazione sono privati del loro bersaglio specifico, ed il velo tecnologico maschera la riproduzione della disuguaglianza e dell’asservimento. Col progresso tecnico come strumento, la non-libertà – intesa come soggezione dell’uomo al suo apparato produttivo – viene perpetuata e intensificata sotto forma di molte piccole libertà e agi.”

“[…] non v’è ragione di insistere sulla autodeterminazione quando la vita amministrata è così confortevole, è anzi la buona vita. È questo il terreno razionale e materiale su cui si fonda l’unificazione degli opposti, il comportamento politico unidimensionale […] Respingere lo Stato del benessere a favore di un’idea astratta della libertà è cosa che convince poco.”

Herbert Marcuse in L’uomo a una dimensione

In che modo leggere la modernità attuale? In che tipo di società viviamo? Fino a 30/40 anni fa la destra e la sinistra erano in un certo modo distinte nei loro programmi e azioni ed era abbastanza facile dire quali erano le politiche della destra e quali della sinistra. Oggi questa distinzione si è fatta molto meno netta, quasi impercettibile. Ciò che differenzia l’attività politica degli attuali partiti italiani e della gran parte degli Stati occidentali, sono delle sfumature che prendono corpo e sostanza solo con la comunicazione generalista che esalta, spettacolarizza e indirizza le scelte dell’elettore. Le categorie politiche di destra e sinistra sono entrate in crisi perchè non riescono più a spiegare la realtà sociale e politica attuale, perché sono quasi del tutto scomparse le classi sociali a cui facevano riferimento: la borghesia e il proletariato. Sembra che ci sia stato un livellamento sociale non tanto dal punto di vista economico, ma quanto e soprattutto del vestito sociale. La nuova e unica classe imperante che ha fagocitato l’intera società è l’homo consumens, l’homo novus della modernità.

Questo cambiamento sociale profondo non solo riflette il presente della nostra società, ma richiede anche una valutazione attenta su come affrontare il futuro. Nell’era dell’abbondanza e dell’accesso senza precedenti ai beni e ai servizi, siamo testimoni di un cambiamento significativo, diretta conseguenza dell’avvento tecnologico e dell’espansione dell’economia globale. Vediamo emergere un nuovo tipo di dinamica sociale all’interno della quale il lavoratore non è più privo dei mezzi di sussistenza e, pertanto, non avverte l’esigenza di lottare per un mutamento sociale radicale della società. La vita contemporanea è piena di opportunità e piaceri, eliminando così il desiderio di un cambiamento sociale e politico. La distinzione tradizionale tra chi possiede i mezzi di produzione e chi li lavora sta svanendo gradualmente nella società “opulenta” occidentale, poiché sempre più persone hanno la possibilità di partecipare non solo come lavoratori, ma anche come consumatori attivi.

Questa evoluzione (o involuzione?) ha portato alla nascita di un’unica classe che è definita non solo dal suo ruolo nella produzione, ma anche dal suo potere d’acquisto e dalle sue scelte di consumo. Le tradizionali divisioni di classe stanno cedendo il passo a una società in cui il consumismo diventa un elemento unificante. Le persone rivelano sempre più la propria identità attraverso ciò che acquistano e consumano, piuttosto che solo attraverso il loro ruolo economico. Un ruolo economico che viene imposto dall’alto attraverso il massiccio utilizzo della propaganda dei media che spingono la mente del cittadino ad accettare e ricercare falsi bisogni di consumo. Accettare narrazioni sociali senza esaminarle criticamente e alla luce dei fatti è alla base dell’ideologia consumistica.

Un punto critico in questa discussione è il ruolo della cultura perché anch’essa è preda delle dinamiche del profitto. La visione del concetto di “industria culturale” è stata sviluppata da Theodor Adorno e Max Horkheimer nella loro opera Dialettica dell’illuminismo (1944) e successivamente elaborata da Herbert Marcuse e altri teorici della Scuola di Francoforte. Il concetto di industria culturale offre un’analisi critica della cultura nel contesto del capitalismo avanzato, evidenziando come la cultura sia diventata una merce e una parte integrante del sistema economico. L’industria culturale si riferisce alla produzione di cultura in forma di prodotti commerciali, come film, musica, libri, programmi televisivi e altro ancora. L’obiettivo principale dell’industria culturale è il profitto, e quindi i prodotti culturali sono prodotti in serie e standardizzati per massimizzare l’efficienza e raggiungere un vasto pubblico. Questo ha portato alla commercializzazione e alla standardizzazione della cultura stessa. L’industria culturale tende a promuovere una cultura dominante, uniformando il gusto e gli interessi delle persone. Ciò può portare una mancanza di diversità culturale e una monocultura mediatica. Un piccolo numero di grandi aziende controlla gran parte dell’industria culturale, determinando ciò che viene prodotto e diffuso. Questo controllo può influenzare la formazione dell’opinione pubblica e la manipolazione delle masse. Il pubblico tende a consumare passivamente la cultura invece di partecipare attivamente alla sua creazione o critica. Ciò può portare a un’alienazione culturale e politica.

Un’altra questione molto importante è il ruolo dell’istruzione – specialmente della scuola pubblica – nella formazione delle nostre menti. La scuola dovrebbe essere un luogo di apprendimento critico, di sviluppo del pensiero autonomo e della creatività. Tuttavia, l’obbedienza e il conformismo vengono spesso incoraggiati sin dalla più tenera età nel percorso scolastico a discapito del pensiero critico.

La tendenza delle persone a cercare la felicità attraverso il consumo di beni materiali o attraverso il conformismo sociale, non sviluppa una vera realizzazione e soddisfazione personale e ci allontana dalle domande di senso e significato.

È importante riflettere sulle sfide che questo nuovo paradigma può presentare anche perché lequestioni profonde di giustizia sociale e uguaglianza di opportunità non sono state risolte, anzi è aumentato il divario di ricchezza tra gli individui. Jean Baudrillard ha scritto nel suo libro Società dei consumi che “Il consumismo non si limita solo all’atto di acquistare beni materiali, ma riguarda anche l’esperienza emotiva e simbolica associata a tali acquisti. In questa prospettiva, il consumatore non cerca solo beni funzionali, ma cerca anche una narrativa personale, una rappresentazione di sé e uno stato d’animo attraverso il processo di consumo”.

Naomi Klein nel suo libro No Logo ritiene che il crescente consumismo può favorire l’alienazione e la superficialità, poiché le persone possono cercare di colmare vuoti emotivi con l’accumulo di beni materiali. Questo può portare a una mancanza di autenticità nelle relazioni e nei valori.

Il consumismo moderno non si limita più alla mera acquisizione di beni materiali. È un fenomeno che si concentra sull’atteggiamento mentale del consumatore, sulla costruzione di una “falsa coscienza” attraverso il consumo di “falsi bisogni” e sull’esperienza simbolica associata agli acquisti e alla tirannia dell’opinione pubblica. Non solo si consumano prodotti commerciali, ma sono in vendita anche il bisogno di salute, di sicurezza: tutto è regolato dalla sfera del profitto.

Nell’era moderna, inoltre, assistiamo a un fenomeno importante: i cittadini aspirano a raggiungere uno status sociale elevato attraverso l’acquisto di beni di consumo. Questo desiderio di emulare il “sogno del ricco” riflette le nuove dinamiche sociali e il crescente impatto del consumismo sulla costruzione dell’identità individuale.

I singoli individui non vedono più il consumo come semplice soddisfacimento dei bisogni di base, ma come strumento per raggiungere una posizione sociale desiderabile. Il sociologo Thorstein Veblen ha introdotto il concetto di “consumo ostentativo” nel suo lavoro La teoria della classe agiata ed ha sottolineato come le persone possono utilizzare il consumo visibile per dimostrare il proprio status sociale. In questo contesto, ogni singolo individuo potrebbe essere spinto ad acquistare beni di lusso o di design non solo per la loro funzionalità, ma soprattutto per dimostrare agli altri la loro “affiliazione” alla classe dei ricchi.

Tuttavia, questo desiderio di emulare lo stile di vita dei ricchi non è privo di conseguenze. Questa corsa al consumo spesso porta a un maggiore stress finanziario. Le aspettative insoddisfatte e la pressione sociale di mantenere un certo standard di vita influiscono negativamente sulla salute mentale e sul benessere delle persone.

È importante riflettere su come la società, i media e le pressioni esterne influenzano le scelte di consumo e come queste scelte possono a loro volta modellare l’identità e il benessere delle persone e violare, in questo modo, la dignità di ciascuno di noi. Il diritto al rispetto dell’intimità della mente dovrebbe essere oggetto di attenta e approfondita discussione pubblica.        

Considerato che il consumismo non ha risolto le disuguaglianze economiche, anzi tutt’altro, è preoccupante l’assenza di una politica che, partendo da queste analisi, affronti l’attuale modernità. Una modernità che impoverisce e massacra i due terzi della popolazione del Pianeta perché il restante terzo si prodighi allo spreco e a una vita alienata. Una politica che si prenda cura della salute mentale dell’individuo, soprattutto dei nostri bambini e ragazzi, e che sveli pubblicamente le contraddizioni del lato oscuro del nostro benessere materiale.

Appare sempre più evidente l’enorme difficoltà che qualcuno possa opporsi al sistema vigente dal momento che esso garantisce la soddisfazione dei propri bisogni. Si vede allora che il benessere sociale è stato trasformato in strumento di dominio e di contenimento dell’opposizione e del mutamento qualitativo della realtà. Il cittadino di tutte l’età è immerso in una routine (scuola, lavoro, intrattenimento) ripetitiva e ipnotizzante. L’attacco all’autonomia di pensiero si scaglia sulla coscienza delle persone da tutte le parti.

Pensare di essere ancora inscritti e partecipi di un passato politico non più presente, rende l’attuale società una realtà politicamente bloccata, immune, quindi, al cambiamento, garante dello status quo, e portatrice dell’assenza di un’alternativa, a tutto vantaggio di chi possiede immensi capitali.

Il paradigma del modello economico e politico del neoliberalismo è privatizzazione, liberalizzazione dei mercati, competizione, efficienza economica. Se in prima battuta il neoliberismo promuoveva l’idea della minima interferenza dello Stato, in questi ultimi anni sta accadendo che proprio attraverso lo Stato e all’eccessiva burocratizzazione, il neoliberismo riesce meglio a penetrare in ogni aspetto della vita sociale. Da una parte osserviamo la perdita cospicua di sovranità degli Stati in favore di entità private e non democraticamente rappresentate (ONU, NATO, MERCATI FINANZIARI ecc.), dall’altra gli Stati che si fanno portavoce normativa e cogente sui cittadini di queste entità esterne. La perdita di democrazia e di libertà è palese, ma ciò che preoccupa è la propaganda comunicativa istituzionale che riesce a camuffare e coprire operazioni apertamente illiberali con la calda coperta apologetica della “sicurezza nazionale” e della tutela “dell’interesse collettivo”, a discapito dei fatti, “dall’evidenza logica come tale” e, pertanto, dei reali bisogni del cittadino. Cui prodest?

Questa società ad impulso neoliberista promuove l’idea che viviamo nel migliore momento storico che l’umanità abbia attraversato. L’idea stessa di progresso è un grande racconto immaginifico, nonostante disoccupazione, povertà e disuguaglianze crescono vertiginosamente. Nel contesto della società occidentale contemporanea, è evidente che l’individuo gode di accesso ai beni di prima necessità, intrattenimento variegato e una certa forma di libertà personale. Nonostante queste apparenti comodità e privilegi, si sperimenta in modo generalizzato una profonda condizione di infelicità e di isolamento esistenziale (paradosso della prosperità).

Il sistema sociale moderno è un mostruoso apparato perpetuante lo spreco, il malessere, il dominio, la manipolazione, l’instupidimento, la continua ricerca del vantaggio economico, l’inquinamento e la devastazione ambientale. È un sistema che produce morte…. Davanti a tutto questo l’individuo non si ribella, non lotta per un mondo più giusto ed etico, perché non è più capace di distinguere il bene dal male, di accorgersi della sottomissione del principio del piacere al principio di prestazione: la sua coscienza è a tal punto manipolata che egli si riconosce appieno nel sistema repressivo. Questo sistema è anche drammaticamente capace di inglobare il potenziale rivoluzionario promuovendo un illusorio pluralismo nel quale sembra che ciascuno possa affermare le proprie posizioni e i social-media sono paradigmatici in tal senso. Ciò che viene realmente promosso dal sistema non è una reale messa in discussione dei cardini della società, quanto la possibilità di esprimere il proprio dissenso all’interno dei confini da essa stessa tracciati. In tal modo si conserva l’apparenza di una libertà comune a tutti gli uomini, mentre in realtà si rafforzano la repressione e la manipolazione delle coscienze. Inoltre, quelli che appaiono essere attaccati dall’establishment costituiscono una sorta di premio di consolazione per gli oppressi, i quali possono in tal modo ricadere nella loro tranquilla e placida esistenza, persuasi della propria libertà. La nostra società opulenta è tremendamente efficace nella distruzione di ogni spinta eversiva perché si basa non sul terrore o sulla violenza sistematici, ma sulla sottile manipolazione istituzionalizzata tramite cui convince i propri sudditi della propria bontà e dei vantaggi che da essa derivano. La possibilità di immaginare alternative concrete, anche di fronte agli enormi sacrifici a cui è sottoposto il cittadino per “tirare a campare”, è soffocata da quel benessere che il sistema elargisce e contro il quale pare illogico schierarsi; la stessa possibilità di esprimere la propria opinione a livello politico (sempre nei limiti posti dall’establishment) rende irrazionale opporsi a esso, perché significherebbe ribellarsi a una società che garantisce la libertà ai propri cittadini.

Dunque si assiste, nella sfera politica, alla tendenza verso “una marcata unificazione degli opposti” che si esplica anche nella progressiva perdita di potere sindacale delle associazioni dei lavoratori, le quali sono sempre più colluse con le sfere dirigenziali. Tale situazione potrebbe apparire come causata esclusivamente da interessi particolari, facilmente isolabili dalla realtà sociale globale, ma in realtà l’assenza di libertà è premessa della sopravvivenza del sistema. Le varie forze politiche, le quali sembrano battagliare costantemente, sono in realtà poste al servizio del perpetuarsi del sistema sociale; ciò corrisponde a quel livellamento sociale di cui si è fatto accenno quando la classe lavoratrice condivide con quella dominante la stessa mentalità. I diversi partiti, pur divergendo su questioni di secondaria importanza, convergono nell’intenzione di mantenere la situazione così come si presenta, “si uniscono a un livello superiore, nell’interesse comune che esse hanno a difendere ed estendere la posizione acquisita, a combattere le alternative storiche, a contenere il mutamento qualitativo.”

Il sistema continua così a svilupparsi in modo indisturbato secondo una logica di dominio che si coniuga a processi di razionalizzazione sempre più avanzati, i quali però si rovesciano nel dilagare dell’irrazionalità.

“Il logos si rivela come la logica del dominio” (Herbert Marcuse in Eros e Civiltà).

Creare un tavolo di discussione culturale multidisciplinare (filosofia, diritto, sociologia, psicologia, medicina, comunicazione) sull’analisi della nostra modernità è quanto mai necessario e urgente. È fondamentale realizzare una cornice di pensiero utile alla comprensione della realtà, perché possa poi tradursi in sana prassi sociale e politica al fine di proteggere l’essere umano dalla manipolazione mentale e custodire la vita.

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