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Il reddito di cittadinanza pone sul tavolo della discussione pubblica importanti riflessioni. Quella fondamentale è l’equivoco se tale misura sia stata concepita per il contrasto alla povertà o alla disoccupazione. In entrambi i casi sorgono delle difficoltà. Nonostante l’elevata incidenza della precarietà del lavoro, l’Italia è l’unico grande Paese europeo a non avere una rete universale di contrasto alla disoccupazione. Il reddito di cittadinanza è stato varato di colpo senza riformare e rafforzare i centri per l’impiego. Se la differenza tra sussidio e reddito da lavoro è piccola, il sussidio verrà preferito al lavoro. Un reddito di cittadinanza così come è stato concepito in Italia, è troppo generoso, slegato da logiche inclusive sociali e lavorative, incentiva di fatto chi non ha un lavoro a non cercarlo, trasformando l’assistenza in una scelta di vita. Per superare questo problema, che gli addetti ai lavori chiamano “trappola della povertà”, occorre impiantare anche in Italia un sistema efficiente di politiche attive del lavoro che completino il reddito di cittadinanza. Premettendo che nessun cittadino deve essere privo dei mezzi di sussistenza necessari alla propria sopravvivenza e che in tal senso va previsto e garantito un reddito minimo di contrasto alla povertà assoluta, dal punto di vista dei principi economici, la povertà non si risolve con i sussidi.

La carità non può costituire la struttura di uno stato sociale moderno e di un sistema economico efficiente. Un reddito minimo garantito predisposto in un’ottica di reinserire i cittadini esclusi dal lavoro e di inserire i giovani, facilita la mobilità sociale. Per cercare la propria strada è facile passare dei periodi senza un lavoro o dover rifiutare un lavoro per il quale non si è qualificati per prepararsi a svolgerne un altro, magari migliore. Alcuni giovani possono scegliere di essere precari mentre si preparano al lavoro che sognano. Inoltre, quasi sempre le carriere più interessanti sono più esposte di altre alla precarietà. Un reddito minimo consente ad un giovane di uscire dal ricatto della sicurezza offerta dal sistema della famiglia, delle raccomandazioni, delle buone conoscenze e aderenze, rispetto all’incertezza di prendere il mare aperto per cercare il proprio porto. Concepire un reddito minimo garantito in tal modo significa avere un’idea di Paese più dinamico e di società più aperta. 

In conclusione un reddito di cittadinanza concepito come mero sussidio e indirizzato ai poveri, quest’ultimi considerati come categoria di esclusi dal mondo del lavoro e quindi anche sociale, non farà altro che incentivare ulteriormente la povertà. Il reddito di cittadinanza italiano costruisce l’idea che il povero, il disoccupato sia un disagiato sociale e lancia un pericoloso messaggio del tutto opposto a quello che è alla radice dello stato sociale universalistico. La povertà e la disoccupazione che sono legate insieme, non sono una colpa, può riguardare tutti e spesso è un momento di passaggio per arrivare a qualcosa di migliore. Lo stato sociale non deve creare lo stigma della miseria. Il reddito di cittadinanza, senza l’attuale e solita visione assistenzialistica, può essere una grande opportunità sociale per la nostra democrazia.

Comments(2)

    • Gianpaolo

    • 2 anni ago

    Grazie Domenico.Le tue riflessioni sono sempre molto profonde,ma tu lo sai come useranno il reddito di cittadinanza.

      • domenicoconversa

      • 2 anni ago

      Grazie Gianpaolo,
      pur essendo cosciente del pericolo della deriva della nostra classe dirigente politica, sento forte il dovere di proporre riflessioni e buon senso.
      Grazie mille per il commento.

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