“La libertà presuppone invece la consapevole conoscenza
dei processi che portano alla sua negazione.”
Theodor W. Adorno
In genere, si discute della e sulla Shoah parlando della sofferenza delle vittime e, tutt’al più, ci si sofferma in modo descrittivo sulle modalità con cui i carnefici procuravano indicibili sofferenze. Il rischio poi di affidarsi ad uno sterile, freddo retorico idealismo è molto alto. Con questo contributo si proporranno delle riflessioni, attraverso il pensiero di grandi intellettuali che hanno vissuto direttamente l’evolversi dell’ideologia nazista, cercando di osservare la Shoah da un altro punto vista: quello dei carnefici. Come è stato possibile che milioni di persone siano rimasti indifferenti (fenomeno designato come collaborazione silenziosa) se non addirittura complici diretti delle peggiori nefandezze che l’uomo possa aver commesso contro altri propri simili? Cosa ha portato milioni di persone alla perdita di ogni senso razionale ed etico?
È importante rispondere a queste domande proprio per evitare che la follia e l’irrazionale possano nuovamente inquinare la psicologia dell’individuo e delle folle. Se quegli uomini non si fossero dimostrati profondamente indifferenti a quel che accadde agli altri, magari allora Auschwitz non sarebbe stato possibile.
Scriveva Gunther Anders nel 1964 in Noi figli di Eichmann che “Il ripetersi del mostruoso non è solo possibile, ma è probabile. La nostra sconfitta sarà veramente definitiva solo allorquando avremo fallito nella ricerca dei presupposti di quello che è già accaduto una volta, ossia quando non avremo scoperto ciò che dobbiamo davvero combattere.” Theodor W. Adorno nel 1966 in Educazione dopo Auschwitz precisava che: “Le radici sono da ricercare nei persecutori, non nelle vittime, che si è dato ordine di trucidare ricorrendo ai pretesti più vili. […] Si devono cioè riconoscere i meccanismi che rendono gli uomini tali da essere capaci di simili azioni; si devono mostrare loro proprio quei meccanismi, e cercare di impedire che diventino un’altra volta così, suscitando una consapevolezza generale di quegli stessi meccanismi.”
Nel testo citato Gunther Anders riteneva come responsabili principali del mostruoso due radici: la discrepanza e la macchinazione.
Per discrepanza Anders intendeva l’incapacità di immaginare gli effetti del nostro agire. Egli scriveva: “Ormai siamo quasi tutti dei lavoratori subalterni e quindi in quanto tali non siamo per niente interessati ad immaginarci l’effetto del nostro lavoro e tantomeno gli effetti finali in generale. O per dirla meglio: ci disinteressiamo perché ci viene impedito di provare questo interesse; perché noi dobbiamo limitarci – consiste proprio in questo la morale del lavoro oggi universalmente riconosciuta – ad interessarci solo della specifica mansione lavorativa per la quale siamo pagati. […] E più grande è l’attività produttiva, più si allontana da una dimensione umana, più aumenta tale discrepanza, più diminuisce il nostro senso di responsabilità. E meno mi accorgo del mostruoso”. L’individuo è indotto a concentrarsi sui piccolissimi pezzi del procedimento lavorativo dei protocolli burocratici e questo gli preclude una rappresentazione dell’intero apparato e, pertanto, del rapporto di causa/effetto. Perde sostanza la scelta autonoma del suo agire. Così prende vita il fenomeno sociale denominato deresponsabilizzazione.
La seconda radice responsabile del mostruoso è la macchinazione del nostro mondo odierno. “Il nostro mondo, nel suo insieme, si sta trasformando in una macchina, è in procinto di diventare una macchina. […] Qual è il principio delle macchine? Il massimo rendimento. […] Ogni macchina è espansionistica, per non dire imperialistica.”
In Educazione dopo Auschwitz Adorno ripercorre gli stessi concetti di Anders specificando ulteriormente che “Un mondo come quello contemporaneo, in cui la tecnica occupa una posizione chiave, produce uomini tecnologici che vibrano all’unisono con la tecnica. […] nel rapporto attuale con la tecnica si cela qualcosa di esagerato, di irrazionale, di patogeno. Ciò è strettamente connesso con il fenomeno del velo tecnologico. Gli uomini hanno la tendenza a intendere la tecnica come la cosa stessa, come un fine in sé, come una forza del loro essere, dimenticando che è invece il prolungamento del loro braccio.” Quella tecnica “che può condurre al punto in cui qualcuno escogita un sistema ferroviario in grado di portare ad Auschwitz le vittime il più velocemente possibile e senza intralci, dimenticando quel che ad Auschwitz accade.”

In uno dei verbali degli interrogatori precedenti al processo di Gerusalemme, Eichmann ebbe a dichiarare: “appartengo a quella categoria di persone che non si formano opinioni proprie”. L’automa (l’uomo macchina) non ha coscienza né esistenza, cosicché una società malvagia mira a diminuire il livello dell’esistenza individuale, perché a colui che non esiste non puoi chiedere alcuna responsabilità etica o morale e diventa, dunque, un perfetto strumento nelle mani dei pochi vili.
Adorno aggiunge alle riflessioni di Anders il concetto di autodeterminazione dell’individuo: “le forme di comportamento autoritario e l’autorità cieca continuano a persistere, in condizioni di democrazia formale, molto più tenacemente di quanto non si voglia ammettere. Credo piuttosto che il fascismo e l’orrore che provocò fossero strettamente connessi, nel momento del loro insorgere, al fatto che le vecchie autorità consolidatesi all’interno dell’impero tedesco erano crollate, cadute in rovina, ma gli uomini non erano ancora psicologicamente pronti all’autodeterminazione. Non si dimostrarono cioè all’altezza della libertà che era loro piovuta dal cielo. Per questo le strutture autoritarie hanno poi assunto quella dimensione distruttiva. […] Risulta ben fondato il sospetto che il potenziale autoritario, ora come allora, sia molto più forte di quanto si vorrebbe pensare.” Ed ancora “Gli uomini che si inquadrano ciecamente nella collettività riducono se stessi a una sorta di materiale, si annullano come esseri autodeterminati.” Il rimando all’imperativo Kantiano è evidente: “Abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto”. L’unica vera forza contro il principio di Auschwitz potrebbe essere, quindi, l’autonomia, la forza che spinge alla riflessione, all’autodeterminazione, a non collaborare.
Adorno cerca di trovare nell’educazione dei bambini uno dei momenti più importanti per impedire la reiterazione dei crimini del passato “Dal momento però che i caratteri, anche quelli di chi perpetra quei crimini, generalmente si formano già nella prima infanzia”. Egli ci mette in guardia da una certa educazione tradizionale per cui si fa della durezza una delle caratteristiche principali. In tal modo si soffoca il bambino a vivere spontaneamente le proprie emozioni e, quindi, se stesso. Da ciò deriva anche la scarsa sensibilità alla propria sofferenza e, pertanto, a quella altrui.
Nell’opera La personalità totalitaria Adorno descrive l’individuo oramai integrato nel sistema tecno-totalitario come colui che ha “perduto in larga misura la capacità di fare delle esperienze vitali. Per cambiarli in modo serio, non basterà quindi fornire loro insegnamenti o convinzioni di tipo diverso, occorrerà invece generare, o meglio ricreare, attraverso processi pedagogici profondi, la capacità di acquisire un rapporto spontaneo e vitale con gli uomini e le cose.”
Per concludere e alla luce di tutto quello che si è proposto innanzi, è assolutamente necessario saper osservare la realtà e avere un pensiero critico nei confronti del potere e di chi lo esercita. Gunther Anders scriveva in Noi figli di Aichmann “…sebbene oggi dominino una frivola calma e una frivolissima euforia culturale, siamo esposti molto di più al pericolo di diventare complici o vittime della macchina di quanto lo siano stati quelli di ieri. Non lasciamoci assopire dalla calma di oggi. È ingannevole. Essa è una calma di vento tra due tempeste, è un sonno che il mondo mostruoso si può senz’altro permettere tra le mostruosità di ieri e di domani. La tempesta potrebbe nuovamente scoppiare domani stesso.”
Il cittadino di quest’epoca è pronto a riconoscere l’irrazionale e, pertanto, a dire di “no!” alla follia e al male? Il cittadino odierno possiede gli anticorpi necessari affinché non anteponga il proprio tornaconto all’ingiustizia e alla sofferenza altrui?