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Da tempo, soffermandomi a osservare il recente passato, avverto un certo disagio dinanzi alla personale partecipazione a movimenti di protesta e contestazione rispetto alla gestione sanitaria della nostra società. Precisamente si fa riferimento agli avvenimenti riguardanti gli obblighi vaccinali pediatrici imposti con la legge Lorenzin nel 2017 e gli obblighi normativi imposti dal 2020 per la gestione sanitaria del Covid-19 che hanno limitato libertà e diritti fondamentali del cittadino. Ebbene, partecipando a numerose riunioni, eventi e manifestazione di piazza, ho sempre più avvertito che le tante persone che formavano e partecipavano a queste forme di contestazioni, si muovevano come elefanti in una cristalliera in preda alla semplificazione, al più becero complottismo e ad un atteggiamento settario. Seguire il guru di turno dello youtuber, non approfondire autonomamente gli argomenti, non verificare la veridicità delle fonti. Anche se nel merito la protesta contro la sproporzione di una misura normativa e l’imposizione di obbligo sanitario rispetto al reale problema era evidente attraverso l’uso della logica, del buon senso e della semplice lettura delle evidenze scientifiche, la protesta seguiva strade che conducevano a ben altri risultati, anzi, rafforzavano le stesse posizioni istituzionali che, invece, si volevano bloccare. La comunicazione generalista dei mass media, che faceva leva sugli impulsi emotivi del cittadino per cui si descriveva una situazione sanitaria differente dalla realtà, trovava un validissimo alleato nella contestazione di una minoranza di cittadini che affrontavano la situazione proponendo teorie complottiste paranoidi. A tal riguardo, avendo da tempo preso distanze siderali da tali gruppi e modalità, vorrei proporre delle riflessioni che poggiano sulla lettura del libro di Richard Hofstadter, Il complotto: La teoria della cospirazione e la paranoia americana.

È un testo che analizza la società americana a partire dagli anni ’60 e ‘70 rivolgendosi soprattutto all’analisi del maccartismo, che sosteneva in modo ossessionato il complotto comunista. Ma le analisi di Hofstadter possono essere tranquillamente applicate in tutti i tempi e luoghi perché contengono una coerenza oggettiva ad ogni latitudine del pensiero. Hofstadter individuava le origini dello stile paranoico tipico del maccartismo in una convinzione apparentemente “inestirpabile” di numerosi americani: “L’esistenza di un vasto e insidioso network internazionale, di efficacia soprannaturale, creato con lo scopo di perpetrare le azioni più diaboliche”. Una corrente di pensiero che attraversa le epoche trovando via via nemici differenti (Hofstadter citava il movimento antimassonico e quello anticattolico nell’Ottocento, assieme al “complotto degli Illuminati” di fine Settecento) ma sempre incrollabile nella certezza che “Una ‘vasta’ o ‘gigantesca’ cospirazione sia la forza determinante negli avvenimenti storici”. La sua conclusione era che: “Il ritorno dello stile paranoico in luoghi diversi e per lunghi periodi di tempo suggerisce che una mentalità disposta a vedere il mondo in modo paranoico può sempre essere presente in minoranze considerevoli della popolazione. Ma il fatto che movimenti che usano lo stile paranoico non siano costanti ma arrivino a ondate successive suggerisce che l’atteggiamento paranoico si mobilita e agisce principalmente in relazione a conflitti sociali che coinvolgono schemi di valori primari e che mettono politicamente in azione paure e odi fondamentali, piuttosto che interessi negoziabili”.

L’attualità di Hofstadter deriva dal fatto che oggi le argomentazioni paranoiche hanno circolazione ancora più larga rispetto a ieri. Di vecchi timori di cospirazioni “comuniste” e “massoniche”, fino a nuove paure di nemici improbabili. Come, per esempio, la convinzione che la Federal Reserve (la banca centrale americana) sia “di proprietà di otto famiglie ebree, di cui soltanto tre sono americane”. Il reverendo Pat Robertson rimane convinto che la finanza ebraica, l’imperialismo tedesco e il bolscevismo siano sempre stati alleati e operino ancora nell’ombra per distruggere la democrazia americana.

Hofstadter si preoccupava di sottolineare le somiglianze con i “millenaristi religiosi” e di indicare gli “ammonimenti apocalittici” caratteristici dello stile paranoico. Anche ogni passione politica fortemente sentita, in quanto espressa in un linguaggio che eccita le passioni, rientrerebbe nello stile paranoico, sosteneva lo stesso autore.Nella visione paranoica della lotta politica, sottolineava Hofstadter, “Ciò che è in gioco è sempre un conflitto tra il bene assoluto e il male assoluto e le qualità richieste sono non una volontà di compromesso ma la determinazione di combattere fino alla fine. Poiché si ritiene che il nemico sia totalmente maligno […] esso deve essere totalmente eliminato”. È bene comunque evidenziare che la storia americana, come quella di tante altre nazioni, è piena di esempi di attività illegali e di menzogne del governo. In fondo, se si parla incessantemente di insabbiamenti delle notizie e di complotti del Pentagono o della CIA è in parte perché effettivamente questi ci sono stati. Oggi sappiamo che l’incidente del golfo del Tonchino fu una messa in scena e sappiamo dai Pentagon Papers che le amministrazioni Kennedy, Johnson e Nixon avevano nascosto la verità sul coinvolgimento statunitense in Vietnam.

Capire dove passa la linea di confine tra fantasie cospirative e vere malefatte è quell’attività di pensiero che oggi viene minata continuamente dalla macchina efficiente dell’industria culturale. È interessante notare come l’aumentare della sfiducia dei cittadini nei riguardi della classe politica e del Governo faccia aumentare l’attaccamento a teorie paranoidi cospirative. Fondamentale comprendere questa relazione con un’osservazione di Hofstadter: “i cittadini propensi a credere nell’esistenza di cospirazioni, sentendo di non aver accesso alla contrattazione politica o alla formazione delle decisioni, trovano la loro originale concezione di un mondo del potere onnipotente, sinistro e maligno pienamente confermata”. In sociologia e psicologia, questa situazione è chiamata profezia autoavverante o che si autoadempie e descrive una situazione in cui una credenza (che può essere anche falsa) influenza il comportamento delle persone al punto tale da modificare la realtà fino a confermare l’ipotesi iniziale. In altre parole, tanto maggiore è l’esclusione della cittadinanza dal processo politico tanto più elevata è la credenza popolare in complotti misteriosi.

In questo quadro, la sensazione di gran parte dei cittadini di non avere voce in capitolo nelle stanze del potere, nonostante le forme del processo democratico siano rispettate, è certamente in relazione con la crescente popolarità di teorie cospiratorie. Assenteismo elettorale e convinzione che “la gente come me” non conta nelle decisioni politiche restano elevatissimi. Cinismo e sfiducia nelle istituzioni crescono insieme all’idea che il mondo sia proprio quello descritto nel romanzo distopico 1984. Il grande antropologo francese Marc Augé esprime questo concetto in una sintesi folgorante: “Viviamo in un mondo di immagini che ci dà l’illusione di conoscere tutto senza smentire la nostra certezza di non potere nulla”[1].

L’artificiale mondo di immagini in cui siamo immersi non è però benevolo come spesso si crede. Molti cittadini si sentono aggrediti dai media. Le proteste contro l’invasione della privacy e la diminuzione del consumo di giornali e televisione sono solo alcuni dei sintomi di questo rifiuto. Inoltre la propensione per il crimine e le catastrofi da parte dei media e l’incessante flusso di notizie avente il fine di disorientare il cittadino nelle dimensioni spazio-temporale per cui la simultaneità di avvenimenti vicini e lontanissimi creata dalla comunicazione e l’avvicendarsi di notizie del passato unitamente a quelle del presente, gettano l’individuo in un disagio e confusione mentale senza ancoraggi di identità.

Altresì, parte consistente del contenuto di un quotidiano o della programmazione di un canale televisivo e, oggi, dei social, è costituita dalla pubblicità. Il messaggio pubblicitario preso nel suo complesso non è tanto che la tale marca di automobili sia migliore dell’altra o che la birra X sia migliore della birra Y. Il vero contenuto della pubblicità è il rifiuto dei limiti intrinseci dell’esistenza umana: ciascuno di noi potrebbe acquistare la giovinezza, la bellezza, l’amore, la felicità attraverso questo o quel particolare prodotto, indipendentemente dalla propria età, condizione sociale, aspetto fisico. La reazione del cittadino nei confronti del consumo, e del consumismo in generale è di forte frustrazione e delusione perché in primis non riesce ad acquistare tutto quello che viene proposto e in secundis anche dopo l’acquisto la soddisfazione di quegli obiettivi esistenziali non viene del tutto raggiunta. La comunicazione di massa, oggi crea disagio e irritazione non solo verso i prodotti ma anche verso le immagini patinate e verso gli stessi media che ce le propongono. [2]

Il disgusto diffuso verso il giornalismo di intrattenimento, ansiogeno, cinico, legato a doppio filo alle corporations, è una delle ragioni per cui vediamo proliferare, nelle nicchie dell’universo dei media, le teorie “cospiratorie”, scriveva Hofstadter. Negli Stati Uniti i mass media sono considerati un braccio dell’establishment e la gente ne diffida, concentrandosi sulle relazioni personali come fonte di informazione: visto che il mondo è sempre più incomprensibile, ci si rifugia in ciò che dicono gli anziani della propria “tribù”, siano essi gli iscritti al club di tifosi dei Giants, i frequentatori del bar del paese o i membri di una associazione dei veterani. Le teorie cospiratorie si nutrono della tribalizzazione della società e a loro volta la rafforzano.

Quando Hofstadter scriveva che “Le comunicazioni di massa hanno reso possibile mantenere l’uomo-massa in uno stato quasi costante di mobilitazione politica” pensava sicuramente alle adunate naziste e fasciste. Ma coglieva anche l’attualità del nostro tempo, aggiungendo: “La crescita dei mass media […] ha fatto della politica una forma di intrattenimento nel quale gli spettatori si sentono coinvolti. Essa è pertanto diventata più che mai un’arena in cui possono essere proiettati emozioni private e problemi personali”.


[1] Marc Augé, Storia del presente, Milano, Il Saggiatore, 1997, p. 87.

[2] Albert Hirschman, Felicità privata e felicità pubblica, Il Mulino, Bologna, 1983.

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