Blog

  • Home
pexels-ruvim-3378993

Pier Paolo Pasolini nel lontano 1971 diceva che:

La televisione è un medium di massa e come tale non può che alienarci e mercificarci. Nel momento in cui qualcuno ti ascolta nel video ha verso di te un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico”.

La televisione, con la sua capacità di intrattenere, è diventata una parte integrante della vita moderna. Tuttavia, mentre molti godono dei suoi contenuti, c’è una crescente preoccupazione riguardo alla dipendenza che essa può generare e al suo impatto sul nostro giudizio critico. Uno dei rischi principali della dipendenza dalla televisione è la sua capacità di sopprimere il nostro pensiero critico. Trascorrere lunghe ore davanti allo schermo può portare a una passività mentale, dove accettiamo passivamente ciò che ci viene presentato senza metterlo in discussione o valutarlo in modo critico. Questo può compromettere la nostra capacità di valutazione razionale delle informazioni, di sviluppare pensieri indipendenti e di prendere decisioni informate. Inoltre, la televisione può promuovere una visione distorta della realtà. I programmi televisivi spesso presentano una versione idealizzata o sensazionalizzata della vita, che può influenzare le nostre percezioni e aspettative e portare a una disconnessione dalla realtà e a una mancanza di discernimento tra ciò che è vero e ciò che è manipolato.

Dalla televisione siamo stati gettati in pochissimi anni nell’era digitale. L’uso diffuso dei social media ha rivoluzionato il modo in cui interagiamo e percepiamo il mondo che ci circonda. La crescente dipendenza da piattaforme come Facebook, Instagram, Twitter e Youtube solleva drammatici interrogativi riguardo al nostro giudizio critico e alla nostra capacità di valutare in modo obiettivo le informazioni, tanto che quest’ultime vengono letteralmente consumate come qualsiasi altro bene fungibile. Uno dei principali rischi associati alla dipendenza dai social media è il fenomeno della “bolla informativa”. Le piattaforme sociali utilizzano algoritmi che favoriscono il contenuto che riflette le nostre opinioni e preferenze preesistenti, creando così una sorta di eco chamber in cui siamo esposti principalmente a contenuti che confermano le nostre convinzioni esistenti. Questo può limitare la nostra esposizione a punti di vista contrastanti e ridurre la diversità delle informazioni a cui siamo esposti, anzi si verifica il rigetto e la chiusura mentale rispetto a contenuti e prospettive differenti alle nostre convinzioni. Inoltre, l’abbondanza di informazioni disponibili online, insieme alla diffusione di notizie false e manipolate, può rendere difficile distinguere tra ciò che è veritiero e ciò che è falso. L’uso eccessivo dei social media può influenzare negativamente la nostra capacità di concentrarci e di approfondire argomenti complessi. La natura veloce e frammentata dei social favorisce un consumo passivo e superficiale delle informazioni, a scapito della riflessione critica e dell’analisi approfondita. Se ogni canale comunicativo della società, tanto la televisione tanto il web, indirizza la mente dell’individuo verso la confusione e l’omologazione, quali e dove sono i luoghi e i momenti che lo possono aiutare ad essere autonomo?

Svegliare il cittadino ad una presa di coscienza individuale e alla sua autonomia di pensiero è al momento irrealizzabile. È troppo grande e ben organizzata la confusione comunicativa amministrata dell’industria culturale. Negli ultimi anni tutto questo è così evidente: le vicende della pandemia, della guerre Russia-Ucraina e i pogrom del 7 ottobre in Israele rendono manifesta la confusione mentale del cittadino che scambia ciò che è malvagio in bene. La modernità ha portato con sé numerosi e spaventosi sviluppi tecnologici e sociali che hanno influito sul comportamento umano. Gli enormi condizionamenti sociali dei media e della cultura del consumo favoriscono la tendenza a seguire le mode, le notizie lontane dai fatti e adottare, pertanto, comportamenti standardizzati.

La migliore forma di rivoluzione è quella che prende coscienza del bisogno di cambiare, solleva le masse, le informa, le mobilita, le organizza e le incoraggia a combattere per il proprio destino“, scriveva Che Guevara. Ma oggi la coscienza del bisogno di cambiare non viene avvertita dal cittadino perché se ieri esisteva la necessità di combattere per la sopravvivenza, oggi dovremmo invece lottare contro la noia esistenziale di intere masse. Siamo davvero di fronte a quell’interrogativo escatologico per cui solo una catastrofe potrebbe ridarci le facoltà mentali per accorgerci del nostro destino? Oppure il nostro destino è diventare quello che C. Wright Mills “ definiva come “docile robot”, meccanicamente obbedienti alle richieste e alle esigenze delle istituzioni e delle élite dominanti? Sostengo da tempo che la continua violazione del nostro diritto all’intimità della mente ad opera dei mezzi di comunicazione di massa e dell’organizzazione della nostra società è una lesione dell’articolo 3 della Costituzione perché impedisce il pieno sviluppo della persona umana e favorisce la nascita di un nuovo essere non più umano perché incapace di valutazione razionale e di meravigliarsi del mondo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.