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In un’Italia ancora scossa dalle macerie della guerra e divisa tra il fervore della Resistenza e il peso di vent’anni di dittatura, il 22 giugno 1946 calò un’ombra che avrebbe segnato indelebilmente la nostra memoria storica: l’amnistia Togliatti. Un “colpo di spugna” che non solo graffiò il ricordo, ma che permise a certe mentalità e a certi uomini di sopravvivere, quasi intatti. L’emergere oggi in Italia di forme di antisemitismo mascherato da antisionismo, di razzismo e di intolleranza nei confronti degli ebrei e di tutto quello che si volge contro le varie narrazioni ideologiche, non è un fenomeno slegato dal passato, ma è anche il frutto di un’identità nazionale che, per una frettolosa “pacificazione”, ha evitato di fare i conti con un passato fascista e di follia di cui si porta ancora oggi le cicatrici. L’amnistia è il punto di partenza di questa amnesia. A quasi ottant’anni di distanza da quel controverso provvedimento, Mimmo Franzinelli ha avuto il coraggio di squarciare il velo di un’intera nazione e di consegnarci, con la passione di chi cerca la verità e la meticolosità dello storico, un’opera che è una vera e propria sferzata alla coscienza collettiva. Sto parlando di “L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946: colpo di spugna sui crimini fascisti”, un libro che non si limita a raccontare, ma che fa male.

Se cercate una pacifica ricostruzione dei fatti, un’asettica cronaca di un provvedimento di legge, non leggete questo libro. Franzinelli non è un cronista neutrale, è un’anatomopatologo della storia, che con bisturi e lente d’ingrandimento disseziona il corpo della nostra nascente Repubblica e ne mostra la profonda ferita. L’autore ci guida in un viaggio doloroso e necessario, scavando tra documenti d’archivio polverosi, sentenze ingiuste e testimonianze dimenticate. E quello che emerge è uno scenario agghiacciante: una classe politica, in nome di una frettolosa e cinica “pacificazione nazionale”, ha preferito concedere l’impunità a migliaia di criminali fascisti, torturatori, collaborazionisti e aguzzini, piuttosto che confrontarsi con la scomoda verità di un Paese ancora profondamente malato.

Il cuore pulsante del libro sta nel mostrare la disillusione e l’amarezza di chi aveva creduto nella Resistenza come atto di giustizia. Immaginate i partigiani che, usciti dai boschi e dalle prigioni, si trovano a incrociare in strada i loro aguzzini, o a vederli tornare ai loro posti di potere, protetti da un’amnistia che li aveva salvati dai loro stessi crimini. Franzinelli ci fa toccare con mano questa beffa, questa profonda ingiustizia. Le storie di violenza, le sevizie, le deportazioni, i rastrellamenti, che il processo di epurazione avrebbe dovuto sanzionare, vengono qui raccontate in tutta la loro brutale realtà, per poi mostrarci come, una dopo l’altra, queste accuse venissero messe a tacere, archiviate, o derubricate a reati minori.

Ma l’impatto più duraturo, e che Franzinelli mette in luce con grande chiarezza, riguarda la mancata epurazione degli apparati statali. L’amnistia fu interpretata in modo da garantire la continuità di funzionari compromessi nei settori chiave della vita pubblica. Pensate a magistrati che avevano emesso sentenze contro gli oppositori politici del regime, prefetti che avevano coordinato la repressione, o ufficiali delle forze armate che avevano collaborato con i nazisti: l’amnistia e i successivi provvedimenti di clemenza hanno permesso a molti di loro non solo di sfuggire al carcere, ma di rimanere in servizio, o addirittura di essere reintegrati in ruoli di spicco. Questo processo di “normalizzazione” post-bellica, voluto in parte per garantire la stabilità dello Stato, ha di fatto impedito una vera e propria “defascistizzazione” delle istituzioni, rallentando la transizione verso una piena democrazia.

“L’amnistia Togliatti” non è solo un libro di storia; è un monito. È un grido di dolore per le vittime dimenticate e una spietata denuncia di una giustizia negata. Franzinelli ha il merito di aver illuminato un’ombra che ha permesso al fascismo di “sopravvivere” nel DNA della nostra Repubblica, impedendo un’epurazione completa e una reale rifondazione morale. È un’opera che vi farà arrabbiare, che vi farà indignare, ma che, soprattutto, vi farà capire una parte essenziale della nostra identità di italiani. È un libro che ogni cittadino dovrebbe leggere, non per cercare un colpevole, ma per onorare la memoria e per non ripetere, mai più, l’errore di una “pacificazione” che, anziché curare, ha semplicemente nascosto la malattia sotto il tappeto. Un capolavoro di storiografia, un’operazione verità necessaria e dolorosa.

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