Metafisiche del Mondo di Sergio Caldarella non è solo una lettura, è un viaggio attraverso territori esistenziali fondamentali ma quasi dimenticati, il cui richiamo si fa sempre più flebile, una voce lontana, un debolissimo bisbiglio interiore nel frastuono della nostra modernità. Già nel titolo stesso possiamo trovare una scomoda ma necessaria riflessione. Quella contraddizione che attanaglia l’essere umano tra la materia e lo spirito. La metafisica (dal greco metà tà physikà, “dopo le cose fisiche”) è la disciplina filosofica che indaga le realtà ultime e i principi primi, che si presume trascendano la realtà tangibile e materiale del mondo. Di conseguenza, il termine “metafisiche” suggerisce un’indagine su ciò che è oltre il mondo, mentre “del Mondo” lo riconduce a una dimensione terrena e immanente. Questa apparente antinomia non è una svista, ma un’intenzione deliberata dell’autore che costituisce il punto di partenza per una riflessione più profonda sul significato e senso della nostra vita: trovare un luogo o una materialità “dove questo significato possa riposare ed essere raggiunto univocamente.”
L’autore ci invita ad aprire la porta al silenzio anche quando non bussa e non chiede di entrare perché questo mondo creato nella parola rifiuta le sue radici silenti, perché “[…] a domande troppo profonde non possono corrispondere che riflessi e silenzi colmi di risposte mai udite”. Con la parola ingabbiamo la realtà e il nostro mondo interiore fugge “dalle radici del silenzio”, e come se diventasse più piccolo e buio. Siamo immersi in un rumore assordante e costante, al quale ci abituiamo fin troppo. La cosa più paradossale è che, spesso, non solo lo subiamo, ma lo ricerchiamo attivamente, intrappolandoci volontariamente in una gabbia di stimoli che ci danneggiano, pur di non affrontare il silenzio, “[…] l’enigma del dolore dentro quel silenzio dal quale veniamo e verso il quale andremo”. Diventare disponibili “alla ricezione, all’ascolto” non è solo un invito che Sergio Caldarella gentilmente ci porge, ma è un imperativo categorico affinchè il nostro camminare in questa landa desolata chiamata modernità, dove il senso e significato vengono sopraffatte dal grigiore della tecnica, possa avvenire rimanendo saldi a noi stessi.
Nel pensiero di Caldarella, l’Occidente si trova sospeso tra due archetipi, due morti che sono in realtà due nascite: quella di Socrate, martire della ragione e custode della luce, e quella di Gesù, fuoco della fede e seme del Vicino Oriente. Queste due vie non sono separate; sono piuttosto i due grandi fiumi che si incontrano in un’unica, tumultuosa foce, un’intersezione eterna dove la filosofia greca e la spiritualità del Vicino Oriente si fondono in una sola, complessa identità, dando vita al terreno fertile e tormentato su cui si è costruita la nostra civiltà. La logica associata all’intuizione, luci e ombre, certezza e interpretazione, forma ed evento.
“[…] fermarsi ad ascoltare i sussurri e i ruggiti delle profondità umane.” è quella possibilità di ricerca esistenziale che ci viene concessa per accogliere dentro di noi il bene e l’amore e rigettare il male, forse la realtà ultima della nostra esistenza. L’autore ci ammonisce quando scrive che “Il male parla e ride, mentre il bene guarda e tace”.
L’invito alla lettura di questo “buon libro” è necessario, soprattutto oggi, quando l’odio più antico irrompe tragicamente nelle nostre esistenze. Come ci ricorda Caldarella: “La più importante invocazione ebraica è lo Shemà Israel, Ascolta Israele, perché nell’ascolto c’è l’attesa che il silenzio dell’Eterno venga a noi […]”