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Il caso della fiera di Roma Più libri, Più Liberi

Avevo appena terminato il libro di Alain de Benoist, Che cos’è l’ideologia del Medesimo, edito dalla casa editrice Passaggio al Bosco, quando mi sono imbattuto nell’ennesima vicenda che mette a nudo la fragilità culturale di un certo ambiente politico. Alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, Più Libri Più Liberi, organizzata a Roma dal 4 all’8 dicembre 2025, alcuni esponenti di una certa cultura stavano infatti promuovendo un boicottaggio nei confronti proprio dell’editore che ha pubblicato quel volume. In una lettera firmata da oltre ottanta autori — tra cui Alessandro Barbero, Zerocalcare, Antonio Scurati e Anna Foa — case editrici e personalità del mondo della cultura, si esprimeva “sorpresa” per la presenza di Passaggio al Bosco alla fiera, definendo il suo catalogo come in gran parte basato sull’ “esaltazione di esperienze e figure fondanti del pantheon nazifascista e antisemita”.

Eppure, sfogliando il catalogo della casa editrice, di questa presunta “esaltazione” non c’è traccia. Non un libro apologetico, non un testo di propaganda, non un’opera che glorifichi nazifascismo o antisemitismo. Le accuse della lettera, quindi, risultano difficili da comprendere: sembrano più il frutto di un riflesso ideologico che di un’analisi reale dei contenuti pubblicati. E tutto questo accade non in un luogo qualsiasi, ma in una fiera del libro, lo spazio che per natura dovrebbe ospitare divergenza, confronto e persino attrito culturale. La stessa casa editrice Passaggio al Bosco presenta la propria missione con parole cristalline, in apertura proprio del libro che stavo leggendo – quello di Alain de Benoist – e che come incipit mi era parso del tutto condivisibile:
“Passaggio al Bosco è il coraggio di investire in quella cultura che tutti considerano defunta e improduttiva, ma che noi riteniamo essere il più autentico mezzo di autodeterminazione della persona.” Leggere questo incipit e poi scoprire le critiche e i tentativi di delegittimazione rivolti alla stessa casa editrice alla fiera di Roma mi ha lasciato sinceramente basito. E nelle mie riflessioni personali annotavo che questo percorso editoriale assomiglia a un atto di resistenza spirituale contro la relativizzazione di tutto e il dominio della tecnica. Un’idea che si può amare, discutere o respingere. Ma che non merita certo la gogna pubblica.

Le proteste, le prese di posizione sono perfettamente legittime. La critica è il sale della cultura. Ma il punto è un altro: quando si passa da “non condivido” a “non deve esserci”, il discorso cessa di essere democratico e diventa disciplinare. Il boicottaggio è un passo oltre. È la trasformazione della fiera — luogo di confronto — in uno spazio sorvegliato dove ci sono voci “accettabili” e voci da rimuovere.
E chi oggi pretende l’espulsione di un editore scomodo, domani potrebbe trovarsi dall’altra parte della barricata. Una fiera del libro non può diventare il prolungamento del proprio salotto ideologico. C’è una contraddizione evidente: chi si erge a difensore della diversità culturale sembra disposto a tollerarla solo entro i confini del proprio schema ideologico. È una diversità condizionata, un pluralismo addomesticato. Un mondo in cui tutti sono liberi… purché pensino le stesse cose.

Il libro di Alain de Benoist per esempio— e la scelta editoriale di pubblicarlo — va invece in tutt’altra direzione: afferma che la differenza è fondamento di una società viva, non una minaccia da neutralizzare. Se la cultura teme i libri, la crisi non è dei libri. Se il primo riflesso di fronte a un pensiero divergente è chiederne la rimozione e il boicottaggio, allora la debolezza non sta nel libro o nell’editore, ma nella cultura che lo teme.
Una cultura che non si fida del dibattito, che non regge lo scontro, che non sopporta la presenza dell’altro. Una cultura così fragile da temere persino gli scaffali di una fiera. Un ambiente che invoca l’esclusione al posto del confronto non difende la democrazia: la svuota. E un pluralismo che funziona solo a colpi di boicottaggi non è pluralismo: è un’illusione protettiva. La cultura, se è viva, è inevitabilmente scomoda.
E finché qualcuno crederà che per difendere le proprie idee sia necessario impedire agli altri di esprimerle, la crisi non riguarderà gli editori, ma la cultura stessa.

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